C'erano
centinaia di persone, sabato 25 gennaio a Rocchetta Ligure. C'erano
i partigiani di Genova, del novese e del tortonese, delle altre
zone dell'alessandrino; c'erano docenti universitari e insegnanti
e c'erano operai e lavoratori di Genova e di Novi; c'erano diversi
ragazzi di vent'anni, molte donne e uomini di quaranta e cinquant'anni.
Insieme hanno cantato Bella ciao, e hanno applaudito a lungo.
Erano lì, alcuni ritrovandosi insieme dopo diversi anni,
per dare l'ultimo saluto a Giovan Battista Lazagna, il comandante
partigiano "Carlo", Gibì per gli amici e anche
per molti che così, con affettuosa ammirazione, lo chiamavano
anche senza conoscerlo personalmente.
"Carlo" se ne è andato mercoledì 22 gennaio
2003 e adesso riposa nel piccolo cimitero di Rocchetta, vicino
all'orto che aveva curato con passione sino a quando aveva potuto,
vicino alle montagna e alle rocce su cui aveva combattuto durante
la resistenza, a poche centinaia di metri dalla casa in cui lui,
genovese, abitava ormai da molto tempo, quella stessa casa in
cui aveva vissuto momenti tormentati della sua vita e molti altri
momenti sereni vicino alla famiglia e agli amici.
Lazagna
ha avuto un ruolo importante nella storia della resistenza e,
soprattutto, nella elaborazione e nella socializzazione della
emoria degli avvenimenti e delle idee della lotta partigiana:
per questo crediamo che il modo migliore per ricordarlo sia quello
di dare a lui, ancora una volta la parola.
Le sue parole che abbiamo scelto sono tratte da una lunga intervista,
realizzata alla fine degli anni Ottanta, insieme a Daniele Borioli,
nell’ambito di una campagna di interviste biografiche per
una ricerca sui partigiani della Pinan-Cichero. Quando incontrammo
"Gibi", che era anche uno dei nostri “mediatori”
per la scelta dei testimoni, sapevamo già che avremmo registrato
un'intervista particolare, sia per l'importante ruolo di comando
ricoperto da Lazagna, sia soprattutto per quel gusto per la riflessione
storiografica a proposito dell'esperienza partigiana che non lo
abbandonò mai.
Ne uscì una conversazione fiume, oltre nove ore di registrazione,
caratterizzata da un fitto intreccio tra ricostruzione biografica
e suggestioni interpretative sull'esperienza della Pinan-Cichero,
quasi un preludio alla sua "seconda" stagione di storico
della resistenza ligure-alessandrina che caratterizzò questi
suoi ultimi anni.
Ci fu poi una ulteriore appendice, realizzata in vista di una
giornata di studio sul distaccamento "Franchi" che organizzammo
insieme, in cui riflette soprattutto dei rapporti tra distaccamenti
e comandi, uno dei temi a lui più cari, e che offre spunti
molto stimolanti a proposito della soggettività partigiana.
Quella che qui pubblichiamo, in versione integrale, così
come è stata raccolta, è proprio quest’utlma
parte della registrazione.
D- In questa parte dell'intervista vorremmo ragionare soprattutto
sul tema dei rapporti tra i distaccamenti e i comandi partigiani.
Dal punto di vista cronologico Il raginamento si può focalizzare
nei giorni della tarda estate 1944, dopo la battaglia di Pertuso
e con l’avvio di una presenza partigiana stabile in Val
Borbera...
Lazagna.-
Subito dopo la battaglia di Pertuso abbiamo il rastrellamento
di agosto i cui itinerari più o meno sono stati ricostruiti.
Comunque possiamo dire che la riorganizzazione avviene nella seconda
metà di settembre; quando si é ripreso un buon livello
l'organizzativo, si è posta la questione dello schieramento,
anche in maniera difensiva, per la difesa del territorio...
D-
Ma chi discute questi problemi?
Lazagna-
C'è stata la riunione a Capanne di Carrega, mi pare il
23 di settembre, alla quale io ho partecipato e nella quale vengono
date le direttive generali.
D-
Però a me sembra che il comando di brigata sia il livello,
diciamo così, più "basso" che partecipa
a questa discussione...
Lazagna-
Dunque: la brigata Oreste se ben ricordo era già stata
istituita appena prima del rastrellamento, però nella battaglia
di Pertuso c'è un coacervo di forze di tutte le provenienze,
non omogenee. Tanto è vero che la ritirata si fa coi vecchi
gruppi e non in modo organizzato. Quelli che erano già
prima con Marco vanno da una parte e gli uomini di Scrivia da
un'altra, eccetera.
Quindi, agli effetti pratici, la brigata si organizza dalla seconda
metà di settembre in poi. Mi pare che sia venuto in Val
Borbera una volta, in quell'epoca, anche Bisagno per vedere i
posti, e ricordo di aver girato parecchio anch'io. Mi ricorda
che Tigre con il distaccamento Castiglione, allora, era a Caprieto
di Mongiardino e mi ricordo di essere andato a visitarlo. Poi
immediatamente dopo c'è stato il recupero di metà
del distaccamento Peter che era rimasto durante il rastrellamento
in Val d'Aveto e che prende il nome di Villa. Questo mezzo distaccamento
Peter rientra e si insedia a Mongiardino. Comandante é
Mino , mi pare.
D-
Scusa, vorrei soffermarmi su questo tema: i cambi di comandante
io ho l'impressione che non siano poi così democratici,
decisi cioè da elezioni tra i componenti dei vari distaccamenti...
Lazagna.-
Ma guarda, certamente nei distaccamenti c'erano queste figure
emergenti, nel senso che magari uno era Vice comandante di distaccamento,
si levava Mino perché andava al comando di brigata e c'era
una successione quasi naturale. In genere queste venivano poi
discusse e ratificate dal distaccamento. Si capisce che in questa
discussione erano più influenti i vecchi partigiani; per
esempio la recluta che era arrivata da una settimana non aveva
molta voce in capitolo, erano quei tre o quattro vecchi...Ma in
generale c'era sempre una consultazione:
Non so: Mino si trasferisce al comando di brigata; Mino stesso
diceva: " Che cosa te ne pare?". E allora ci si riuniva
e si discuteva: "Mino va via e bisogna fare un altro comandante.
Il comando propone questo ... ". Ecco: direi che non ci sono
mai state formalizzazioni precise del voto, però c'era
una discussione e queste scelte corrispondevano alla valutazione
degli uomini del distaccamento. Anche perché c'erano tutti
questi capi squadra che avevano già una loro funzione.
D.-
Ma non c'è mai stato il caso di qualche comandante di distaccamento
proposto dai comandi e mal digerito dagli uomini?
Lasagna,-
Un caso è stato proprio quello di [...] , credo l'unico,
anche se non ne sono sicuro, E' successo nel periodo in cui sono
rimasto assente quando sono rimasto ferito a luglio. In quel periodo
lì, anche se non so precisare quale, [...] è stato
nominato vice comandante di distaccamento e c'è stata una
specie di rivolta; nel senso che lui aveva dei metodi autoritari
che non venivano accettati. Ma io non ho partecipato direttamente
a questa vicenda... So che lui aveva un modo di trattare che gli
altri partigiani non accettavano.
In genere però le sostituzioni dei comandanti avvenivano
in modo naturale... Insomma, eravamo tutti amici, si viveva sempre
insieme... Naturalmente c'era consultazione, poi a un certo punto
la cosa veniva ufficializzata e allora si diceva: "Il comando
propone questa qua: cosa ne pensate…". Ma in genere
era quasi un processo naturale. Poi si capisce che, negli ultimi
periodi, ad esempio, abbiamo fatto il distaccamento prigionieri
e i quadri di comando li abbiamo nominati noi; abbiamo fatto il
distaccamento armi pesanti e li abbiamo nominati noi: c'era un
tenente di artiglieria che aveva le cognizioni tecniche specifiche
e l'abbiamo nominato. Il distaccamento reclute lo stesso: aveva
un grosso compito di vaglio preventivo per impedire infiltrazioni,
e aveva anche il compito di fornire un inquadramento politico
militare preciso.
D-
Vorremmo sapere qualche cosa di più sullo schieramento
dei distaccamenti in Val Borbera…
Lazagna.-
Dunque: noi avevamo il problema della Valle Sisola, in cima alla
Valle Sisola c'era stato prima il Castiglione con Tigre; poi se
non sbaglio in Castiglione si é spostato a Pertuso e sono
arrivati questi della Val d'Aveto e si è costituto il Villa
comandato da Mino. Poi avevamo altri due distaccamenti: uno a
Borassi e uno a Roccaforte. Quello a Roccaforte con il compito
di tenere Lemmi, cioè le provenienze da Borghetto e la
sinistra del Borbera. Invece l'altro mi pare tenesse di più
Grondona-Camere, cioè le provenienze da Arquata Scrivia
via Grondona e da Isola del Cantone, Camere nuove e Camere vecchie.
Per cui i tre punti erano Mongiardino, Borassi e Roccaforte; con
delle varianti, nel senso che a un certo momento il Franchi è
diventato battaglione e mi pare che il distaccamento di Lemmi
dipendeva da Roccaforte. Ma sono tutte cose che hanno avuto durata
di un mese o due ...
A un certo punto è stato fatto un distaccamento stranieri
che poi non ha dato buona prova, con il comando di Giaguaro, un
tedesco. Non ha dato buone prova proprio perché nei momenti
dì emergenza e di difficoltà questi stranieri non
sapevano bene come muoversi, e invece inseriti in un gruppo di
italiani avevano un loro ruolo preciso, nel senso ad esempio che
i russi erano particolarmente decisi e sapevano usare le armi;
per contro non sapevano come chiedere rifornimenti, non conoscevano
la geografia dei luoghi. Diciamo quindi che ci sono stati molti
cambiamenti e senza carte in mano sarebbe difficile ricostruirli.
Ma ad esempio: andiamo al ruolo del comando, Il comando di brigata
era un collettivo, di cui facevano parte praticamente i vecchi
partigiani che erano poi l'espressione, in un certo senso, spontanea
della base: Scrivia era il comandante del distaccamento Peter
ed è diventato il comandante della brigata Oreste e così
via. E un po' per tutti é cosi, per me, per Moro ... Poi
c'è stata più tardi la questione della supplenza
di Bisagno e allora sono partiti Moro e Scrivia per supplire a
Bisagno e siamo rimasti noi in Val Borbera da soli, ad esempio
durante la battaglia di Cantalupo, ma diciamo che c'era questo
funzionamento collettivo.
Noi si dormiva sempre nella sede del comando, di giorno si girava
e alla sera si riferivano le cose e si pigliavano le decisioni.
Ognuno portava dei problemi... "Io sono stato al distaccamento
Franchi: c'è questo e c'è quello...". Si discuteva.
E naturalmente chi andava, indipendentemente dai ruoli precisi,
si occupava di tutto, dalle scarpe, ai viveri, alle sentinelle,
ai rifugi. Si capisce, ognuno secondo la propria personalità,
ma in generale c'era questa grande intercambiabilità di
ruoli. Io ad esempio andavo spesso a Roccaforte, e quando arrivavo
lì cominciavo a dare un occhiata a vedere se c'era la sentinella,
e cominciavo a dire: “Ma la sentinella dov'è?".
"E' là…". "Ma forse non è proprio
il punto giusto...". E allora magari loro ti spiegavano:
"L'abbiamo messa lì perché dall'altro lato
siamo coperti dal distaccamento di Borassi". E quindi c'era
anche questa discussione in cui chi veniva dal comando portava
degli elementi ma naturalmente ascoltando anche.
Ogni tanto si faceva anche qualche ispezione, ad esempio per verificare
che non si mangiassero i viveri di riserva, eccetera. Oppure problemi
di questo genere: "Ma i russi vogliono andare a girare, e
poi se gli offrono un bicchiere di vino lo accettano".
D-
Ma un distaccamento come il Franchi che era stanziato in paese,
a Roccaforte, creava dei problemi particolari?
Lazagna-
Guarda, io a Roccaforte avevo due amici: uno era il prete, don
Giovanni, con il quale qualche volta mi sono anche fermato a fare
una partita a scacchi, perché a lui piaceva. E un altro
era un notaio, Casale, che era originario di Roccaforte ma faceva
il notaio a Biella e in tempo di guerra aveva chiuso bottega e
se ne stava lì. Io avevo ottimi rapporti con tutti e due:
o prima o dopo aver visitato il distaccamento mi fermavo a visitare
questi due...
A me non risulta che ci siano state difficoltà con la popolazione;
forse qualche cosa ... Ma tu tieni presente che a Roccaforte c'era
Gin che era di una pignoleria straordinaria, nell'attenzione a
che non succedesse nessun inconveniente. Per esempio l'estate
scorsa sono andato e ho saputo che Poletaev prendeva lezioni di
italiano dalla maestra. Per cui il problema che poteva sorgere,
ma era un problema di tutta la guerra partigiana, è che
la presenza partigiana poteva essere l'elemento di una rappresaglia
sul paese. Questo timore era sempre presente e probabilmente qualche
mormorio sommesso o anche meno sommesso da parte della popolazione
... "Se vengono i tedeschi poi voi ve ne andate e a noi ci
bruciano le case". E allora li c'era questa trattativa continua.
D'altra parte loro usufruivano di certi vantaggi, nel senso che
avevano tutti i renitenti in casa e la presenza dei partigiani
garantiva la vigilanza e l'allarme, e quindi a loro volta facevano
in tempo a nascondersi. Certo, con le tensioni di un periodo in
cui si poteva lasciarci la pelle da un momento all'altro, e questo
valeva per le popolazioni come per i partigiani... Però
direi che nell'insieme c'è stato un grosso legame dei partigiani
con la popolazione.
Tieni presente questo: che noi svolgevamo anche un compito di
polizia civile. Per esempio io ricordo perfettamente il cieco
delle Ripe rosse che é venuto al comando a lamentarsi che
i figli lo trattavano male. E allora si andava e si faceva una
romanzina ai figli perché trattassero bene il padre!
D.-
Quindi garantivate anche alcuni servizi...
Lazagna,-
Sì, ad esempio garantivamo anche certi approvvigionamenti
nei negozi... Ricordatevi che c'era pieno di sfollati in quell'epoca
lì, e quindi se in genere l'economia contadina era abbastanza
autosufficiente, questi non avevano produzione propria; e allora
si metteva a disposizione dei negozi un po' di grano e un po'
di farina. E, attraverso certi accordi, anche un po' di sale e
di tabacco. Lasciavamo andare i carri di legna giù a Tortona
per il riscaldamento delle scuole e in cambio "loro"
mandavano forniture di tabacco e di sale. Per cui tutto sommato
c'era una collaborazione.
D.-
Ma questo rapporto con la popolazione che a tuo giudizio aveva
un andamento tutto sommato positivo, all'interno del distaccamento
partigiano quanto costava in termini di disciplina. Voglio dire:
era facile tenere dei ragazzi di 20 anni?
Lazagna-
Era difficile, tanto che all'inizio nelle prime fasi ante rastrellamento
d'agosto la disciplina era addirittura feroce e monastica, nel
senso che non si poteva parlare con la gente eccetera. In un secondo
tempo era impossibile!...: 'Sti contadini organizzavano il ballo
con la fisarmonica e il partigiano andava. E i comandanti e i
commissari chiudevano un occhio. Permettevano, oppure minacciavano...
Dicevano: "Guardate che se succede qualche cosa non vi lascio
più andare!". Insomma, era una specie di deroga al
principio, ma questa deroga poi si è abbastanza generalizzata,
tanto è vero che poi c'è stata tutta una serie di
matrimoni tra partigiani e ragazze del posto. Credo che si contino
a parecchie decine...
D-
ma voi del comando, o quanto meno i partigiani più politicizzati,
pensavate che la presenza di un distaccamento fianco a fianco
con la cittadinanza potesse essere un tramite, adesso la butto
giù un po' schematicamente, per conquistare la popolazione
alla causa partigiana?
Lazagna,-
Noi comunisti ne avevamo una piena cognizione. Ci consideravamo
proprio in missione politica. Abbiamo preso anche delle iniziative
particolari, ad esempio ricordo il laboratorio di sartoria di
Cabella, dove si riunivano al pomeriggio le ragazze a cucire alcune
cose per i partigiani; e chi stava dietro a questa iniziativa
era la Marietta . Lei in quel periodo lì aveva l'incarico
di dirigere l'ospedaletto di Rosano, ma era spesso a Cabella e
seguiva queste ragazze con le quali c'era anche una discussione
politica.
Diciamo che l'approccio politico con questa gente era molto prudente,
siamo in zone di piccola proprietà, di aziende di sopravvivenza,
con una grossa influenza del clero: allora c'erano forse 30 preti
nell'alta Val Borbera contro i 4 o 5 che ci sono adesso. C'era
un controllo religioso piuttosto forte.
D.- Ma tu parlavi prima di questo prete di Roccaforte: oltre a
giocare a scacchi. con lui che rapporto c'era? Per esempio: lui
sapeva che oltre a essere un partigiano eri un comunista... Ti
chiedeva qualche cosa?
Lazagna,-
Ma guarda, adesso i ricordi sono vaghi: non ho ricordi di discussioni.
Intendiamoci: lui era un uomo di un certo livello culturale e
di certi interessi, però diciamo che un pochino era riservato,
nel senso che non si sbilanciava eccessivamente, e un po' la frase
tipica, ricostruita vagamente a memoria, poteva essere questa:
"Noi siamo, con diversi modi di pensare, d'accordo nel condannare
il fascismo e il nazismo". Però poi tirava fuori la
terra e tutte le sue obiezioni: "Qui i contadini hanno la
tradizioni; voi vi volete mettere a negare la religione e invece...".
Diciamo che erano discussioni un po' sui massimi principi più
che su cose concrete. Poi sulla cosa concreta si andava d'accordo,
nel senso che non mi é mai capitato di sentire dire: "Ma
lei che é del comando veda un po' questi partigiani che
non si comportano bene"... Una cosa del genere non mi è
mai capitata di sentirla. Sul concreto magari loro ti dicevano:
siate prudenti, state attenti, non coinvolgete la popolazione;
e noi si rispondeva: si fa quello che si può!
Ma anche con il notaio… Con lui discutevamo molto, e lui
che era, diciamo, liberal-laico diceva: "Il comunismo é
un errore perché l'iniziativa privata è la molla
del mondo", e noi si rispondeva come si poteva, dicendo magari
che le classi erano la rovina dell'umanità. Ma erano discussioni
un po' a livelli stratosferici, ossia sui massimi principi, e
poi anche rozze, perché la cultura teorica nostra e loro
era abbastanza relativa.
D-
Quindi tu andavi abbastanza spesso a Roccaforte: se tu dovessi
dare un'immagine del distaccamento Franchi che era dislocato in
paese, come lo definiresti?
Lazagna-
Direi che era uno dei migliori distaccamenti... Intanto le due
figure che lo guidavano: Pinan era un contadino di 20 anni, un
uomo di grande carisma, di grande serietà e di grande coraggio,
al di sopra di qualsiasi critica. Accanto a lui c'era Gin, che
era del '12, che portava in tasca il congedo militare per motivi
razziali, perché era ebreo. Era molto preciso, pignolo
e puntuale: non si lasciava sfuggire nulla né sulla disciplina
né sui rapporti con la popolazione. E naturalmente poi
c'erano tutti i capi squadra: certo provenienze diversissime,
un mucchio di stranieri, russi ma anche polacchi.
D.-
Questa distaccamento sembra avere proprio questa particolarità,
di essere abbastanza eterogeneo, almeno rispetto ad altri. Era
una cosa voluta o è capitato per caso?
Lazagna.-
No, direi che é capitato per caso. Negli ultimi mesi é
stato fatto un distaccamento reclute anche perché si temeva
che arrivasse qualche spia, però in genere il reclutamento
é spontaneo, nel senso che reclutava il distaccamento stesso.
E quindi loro erano a ridosso di Ronco Scrivia e quelli di Ronco
venivano su.
Tenete presente che ogni distaccamento aveva una sua rete informativa,
e quindi aveva informatori a Ronco, a Isola del Cantone, e c'era
anche, mi sembra, uno anziano che si chiamava Chiavari, che, proprio
in forza della sua età, andava in giro disarmato a vedere
e a parlare con la gente, per capire come andavano le cose. Per
cui si creavano dei canali attraverso i quali certe cose si sapevano:
ad esempio c'erano tre ragazzi di Ronco che volevano scappare,
entravano in contatto con il distaccamento e dopo un vaglio un
po' sommario che dipendeva dalle "raccomandazioni" che
ricevevano, venivano accolti.
D-
Vorrei soffermarmi ancora sul Franchi, perché di questo
distaccamento abbiamo molti ruolini, anche se non sempre si riesce
a stabilire la data precisa di ciascuno. Però si nota una
rotazione fortissima nel distaccamento: io ho censito quasi 100
partigiani che circolano nel Franchi e poi vanno in altri distaccamenti,
o arrivano al Franchi provenienti da altre formazioni. Tu ricordi
questo fenomeno?
Lazagna-
Ma questo fenomeno era abbastanza frequente nel senso che per
qualche ragione uno desiderava andare in un altro distaccamento
e la cosa veniva assecondata: o perché c'era un gruppo
di compaesani, a perché c'era un fratello, o perché
si avvicinava alla zona di provenienza, o perché c'era
la fidanzata; e in alcuni casi non escluderei che qualcuno si
trovasse anche male perché aveva subito qualche rimprovero.
In linea di massima il consenso veniva dato.
Si poteva registrare anche qualche caso abbastanza clamoroso:
per esempio Tigre e i suoi 3 a 4 amici, Pantera, Punin e Aquila,
che erano tutti di Nervi, erano in un primo tempo nella banda
Berretta, che era nel parmense, banda con la quale avevamo dei
rapporti. A un certo momento loro erano genovesi e han trovato
dei genovesi e sono passati con noi, con il consenso della brigata.
Così, per motivi chiamiamoli geo-politici.
D.-
Ma questi movimenti li controllate voi come brigata o avvengono
spontaneamente?
Lazagna-
Direi che avvengono spontaneamente. C'è stata qualche direttiva
ad esempio sui russi, proprio perché c'era stata un’esperienza
negativa nel distaccamento stranieri, s'era detto che i russi
andavano distribuiti in tutti i distaccamenti. Oppure qualche
trasferimento per ragioni tecniche. Ad esempio: non c'è
nessuno che possa fare il comandante perché non è
bene accetto, oppure vi mandiamo il commissario, o l'intendente.
Ma anche lì si tratta di casi sporadici. Direi che la regola
è che questi movimenti sono spontanei e approvati.
D-
Non ricordi casi di insofferenze, o di litigi ...
Lazagna-
Ma qualche caso, così... Quando io andavo nei distaccamenti
m ponevano il fatto di uno che magari era indisciplinato. In generale
si cercava di risolvere sul posto, in qualche caso si risolveva
con un trasferimento.
D-
Io ricordo a proposito del Franchi che c'è una fitta documentazione
firmata da Falco che fa riferimento a un periodo in cui si determina
un vuoto di comando. Tu cosa sai di questo periodo.
Lazagna-
Falco era vice comandante e prende il comando dopo la morte di
Pinan. Adesso non so se é riferito a quel periodo…
D-
Lui auspica la nomina di un comandante, ma fa riferimento non
solo al fatto che manca un quadro di comando preciso ma anche
proprio a difficoltà che ci sarebbero all'interno del distaccamento,
Lazagna.-
Io non ho un ricordo preciso di queste cose…
D-
Non è che Juventus è stato inviato proprio per questo?
Lazagna,-
Può darsi, può darsi-
D.-
E dal punto di vista politico come lo ricordi questo distaccamento?
Lazagna,-
ma sai, Pinan, Falco, Ramis, Gin, erano tutti dei comunisti. Direi
una situazione omogenea
D.-
Ma questo fatto determina anche una maggiore affiliazione al partito
nella base partigiana o no?
Lazagna.-
Diciamo che ufficialmente come comando.. Io per esempio pur essendo
nel comitato di partito della Divisione non mi sono mai occupato
di proprio queste cose, la direttiva che noi si dava era che le
riunioni di partito dovevano essere pubbliche. Ma naturalmente,
sai, se avevi da parlare di reclutare uno o di criticare un altro
si riunivano magari anche informalmente ma in chiuso. E non escludo
che magari queste riunioni si facessero anche chiuse. Non posso
escluderlo, anzi sarei portato a pensare che sia vero, anche se
non apparteneva alla direttiva, però è abbastanza
naturale che un gruppo che si caratterizza rispetto ad altri voglia
discutere.
D.-
Questa va bene, ma un conto é se lo fai informalmente,
e un altro se dici: adesso facciamo la riunione di partito
Lazagna.-
Questa è una cosa che io avrei disapprovato. Io la vita
di distaccamento l'ho fatta solo sino ad agosto, poi andavo a
visitarli. Nel periodo in cui ero commissario del distaccamento
Peter non si sono fatte riunioni di partito, e neanche a Cichero;
salvo che si riunissero a "complottare" Bini, Marzo,
Lucio; magari si mettevano lì in 3 o 4 e facevano dei discorsi
loro. Ma ufficialmente una riunione di cellula chiusa io non l'ho
mai vista. In un periodo successivo non te lo so dire: non apparteneva
alle direttive, questo senz'altro, però non escludo che
si facessero.
D-
E invece la riunione serale… Avveniva in tutti i distaccamenti?
Lazagna-
Credo che avvenisse. In generale iniziava sempre con un'informazione
militare, perché il commissario andava a sentire Radio
Londra e dava un'informazione che era molto apprezzata dai partigiani:
era l'unica fonte di informazione, non c'erano giornali e niente.
Per cui sapere che gli alleati erano arrivati a Rimini o che erano
sbarcati era del massimo interesse. Naturalmente poi veniva il
discorso sul funzionamento del distaccamento, e la gente faceva
obiezioni. E mi sembra che i giornali murali riflettano un pochino
queste discussioni. Punizioni, i problemi militari del distaccamento.
Certo varia molto da distaccamento a distaccamento, ma ritengo
che nel Franchi, proprio per questa omogeneità politica
e per la presenza di Gin che era proprio un carabiniere in questo
senso, ci fossero molte riunioni.
D.-
Ecco: mi piacerebbe che ci descrivessi un po’ meglio la
personalità di Gin…
Lazagna,-
Gin intanto spiccava per questa differenza di età, 32 o
33 anni, noi lo consideravamo già un Matusalemme. Noi pensavamo
che fosse un cinquantenne. Comunque per noi era un “vecchio”.
E lui era uno senz'altro pignolo, e basterebbe vedere come sono
tenute le carte; e non si lasciava sfuggire nulla. Nelle conversazioni,
numerosissime che ho avuto con lui, aveva questa bivalenza, nel
senso che diceva: “Carlo - parlava genovese - qui se non
teniamo la disciplina è un disastro! Qui sono dovuto intervenire
perché quello andava a ballare". E lui sapeva tutto
e controllava tutto. Però, nello stesso tempo con me ammiccava:
“Si capisce, sono ragazzi Però io non posso cedere
perché se no dove si fa a finire, se rilassiamo la disciplina".
Quindi c'era questo senso, di dover svolgere il proprio ruolo
con una certa severità senza però fare tragedie
di queste cose. Direi che era un uomo equilibrato e umano, E poi
un uomo anche di capacità. Come anche Falco, che poi é
stato il capo dei sindacati dei portuali a Genova per moltissimi
anni, un elemento di valore.
Gin non é che fosse un intellettuale nel senso letterale
della parola. Infatti poi, quando ha cessato di essere segretario
dell’ANPI, ha messo una bottega di lana a Sampierdarena...
Penso che non avesse letto né Marx né....A parte
l'impossibilità a quell'epoca di reperire i testi. Noi
che eravamo studenti avevamo avuto in mano il materialismo storico
di Labriola che aveva in appendice il manifesto dei comunisti.
Quindi a parte qualche bagaglio trasmesso oralmente dai vari Buranello,
Fillak, Scano, non avevamo letto niente o quasi. Uno come Gin,
che non era uno studente, credo che non avesse letto niente. Leggeva
quel po' di stampa clandestina che poteva circolare a quell'epoca.
Quindi diciamo che c'era più una tradizione orale dell'utopia
che non una conoscenza diretta sui testi marxisti.
D-
Però un personaggio del genere, proprio per questa aderenza
alla cultura orale (definiamola così) forse era più
adatto a un rapporto immediato con i partigiani ...
Lazagna-
Certo, certo, capisci uno cercava di far politica sulla base dei
principi: siamo tutti uguali, ci diamo tutti del tu, tutti compagni...
E ci ricamavi, su questi principi. Voglio dire che era tutto un
ricavato da qualche principio, non certo da una elaborazione teorica.
D.-
Ma a quel che tu ricordi quali erano i punti fermi di Gin, le
sue fisse?
Lazagna.-
Per esempio: se uno prendeva un bicchiere di vino in più
era un fascista. Era un prevaricatore. C'era questo gran senso
della moralità, che il comunista è l'uomo della
massima moralità, che non prevarica, che non fa prepotenze,
che é giusto. C'era questo moralismo spinto, e secondo
me Gin era proprio uno degli esemplari più rappresentativi
di questo moralismo. Un altro era Moro, e Terzo . Anche se Terzo
era un po' più bonario, nel senso che lui diceva: "Eh!
Quei ragazzi avevano fame, e io gli ho dato di più".
Ecco, mentre forse Gin diceva: "No, ci sono quegli altri
a 10 chilometri che non hanno avuto niente e quindi voialtri tendete
la cinghia". Parecchio intransigente.
D.-
Gin veniva dal Peter?
Lazagna.-
No, non so da dove sia arrivato. Nel Peter fin che ci sono stato
io, ossia a luglio, perché sono stato ferito il 16 luglio
e sino al 24 agosto l'ho perso di vista, non c'era e se non è
arrivato in quel periodo lì ... Ma non mi pare: io l'ho
trovato in Val Borbera.
D-
Vlevo chiederti un'altra cosa: questo uso del dialetto genovese
era molto diffuso?
Lazagna-
Guarda, io personalmente non lo parlavo perché in casa
mia si parlava italiano. L'ho imparato, ed ero costretto a usarlo
perché era la lingua...
D.-
Non era forse anche un po' un segno distintivo all'interno della
brigata? Essere genovesi...
Lazagna,-
Lì c'è un grosso principio d’anzianità
che viene osservata per le promozioni ai gradi di comando. Certo
che c'è qualcuno, come Gandolfo, che era uno dei più
vecchi ma non aveva attitudini di comando. Però in generale
nella promozione a capo squadra l'esperto era considerato quello
che era già lì da 3 mesi. Per cui tu parti con un
nucleo come il Peter che era tutto di genovesi di nascita o di
gente che abitava a Genova, e quindi per germinazione normale
diventano poi capi squadra e via di seguito. Ma non sottovaluterei
insieme al fattore anzianità inteso in senso stretto anche
il fattore educativo, cioè il fatto che l’anzianità
corrispondeva anche ad una certa formazione di mentalità
che si era creata.
D.-
Le punizioni: secondo te nel Franchi ne venivano comminate molte
o no?
Lazagna-
Sarei portato a pensare che era uno dei distaccamenti in cui si
puniva di più, proprio perché c'era questa grande
rigidità moralistica, ecc. Anche se queste punizioni poi
erano un po’ così…
D-
A proposito dei rapporti tra comandi e distaccamenti: voi del
comando di brigata, quanto sapevate della vita concreta dei distaccamenti?
Lazagna,-
Direi non molto. Ti dico: io quando andavo là ci dormivo
in genere una notte, e vedevi certe cose, ma in gran parte erano
quelle che mi dicevano Gin e Pinan. Poi ogni tanto arrivava qualcuno
a lamentarsi. Magari arrivava il corriere a dire: “Ma li
sono tutti senza scarpe e la gente è scontenta»,
ma tutto sommato credo che se nel distaccamento c'era qualche
difficoltà grossa lo venivamo a sapere subito e si interveniva.
Perché in un distaccamento direi che in un mese ci andava
una volta Scrivia, una volta io, una volta Moro… Lo stesso
intendente, Terzo, che aveva queste funzioni di partito, aveva
a sua volta i suoi canali per sapere dall'interno certe cose.
Naturalmente quando le cose erano tranquille non è che
conoscessimo poi gli uomini uno per uno.
D-
E dal punto di vista militare? Come arrivavano le direttive ai
distaccamenti?
Lazagna.-
La grande forza dell'Oreste era di mandare continuamente uomini
in azione, e questo era una grossa scuola. La regola era di andare
a turno, in modo che una squadra del distaccamento era quasi sempre
in giro. Poi si potrebbero fare delle considerazioni più
generali sul fatto che non sapevamo combattere tutti insieme:
ogni distaccamento combatteva un po' per conto suo. Intendo dire
che noi abbiamo fatto proprio delle azioni con lo scopo di collaudare
la capacità di muovere una brigata intera in modo concertato.
Tieni presente che non c'era nessun mezzo di comunicazione, per
cui uno che era a 5 Km da te impiegavi un'ora per mandare un biglietto
e un'altra ora per sapere la risposta…
D-
Quindi nelle azioni i distaccamenti si muovevano con una autonomia
molto ampia...
Lazagna-
C'erano delle direttive precise per settori, nel senso che ad
esempio il distaccamento Franchi doveva operare da Arquata a Isola
del Cantone, poniamo, se voleva fare qualche cosa al di fuori
di quella zona doveva avvisare il comando e farsi autorizzare.
In quella zona lì le azioni più importanti venivano
concertate: per esempio una volta, proprio insieme al Franchi
mi pare, siamo andati io e Minetto con un certo Sandro che era
il capo della squadra sabotatori perché volevamo far saltare
un pezzo di autostrada a Pietrabissara, che poi quando siamo arrivati
sul posto abbiamo visto che non si poteva fare. Siamo andati con
due muli carichi d'esplosivo, e diciamo che questa era un'operazione
che aveva un valore strategico per cui avevamo studiato prima,
male, ma li avevamo studiati, i piani. Invece c'era una autonomia
per tutto quanto riguardava incursioni sulla camionale, eventuali
attacchi a piccoli presidi e posti di blocco, e il distaccamento
agiva sulla base delle proprie ricognizioni e delle informazioni
dirette con i Cln. Sul piano difensivo-offenivo c'erano delle
regole concertate precise: in caso di attacco voi tenete questa
posizione, mandate immediatamente una staffetta al comando per
avvisare; se poi le forze sono preponderanti vi ritirate in questa
zona e poi dopo 2 o 3 Km cercate di andare in pianura infiltrandovi,
e se no vi nascondete nella boscaglia, ecc. Io per esempio quando
andavo a Roccaforte mi informavo: avete fatto le buche, avete
fatto i rifugi?
D-
Scusa se ti interrompo: voi davate delle direttive abbastanza
precise, ma di fronte a un momento cruciale come un rastrellamento,
come comando di brigata riuscite a governare il ripiegamento.
Ancora un esempio relativo al distaccamento Franchi, dove è
documentata la decisione di un gruppo di partigiani di non andare
nelle buche nel corso del rastrellamento , mentre la direttiva
era proprio quella di imbucarsi…
Lazagna-
Vedi, la direttiva era questa: in caso dividersi anche in gruppetti
di tre. E questa era una direttiva già a Cichero: nel maggio
del '44 si diceva questo. Per cui c'era questa cultura un po'
dell'arrangiarsi. E allora, in linea di massima, la direttiva
delle buche aveva diversi scopi: il primo era il divieto assoluto
di arretrare, perché la grande critica del rastrellamento
d'agosto era stata il rischio che ci trovassimo tutti a Capanne
di Cosola e sul monte Antola e di farci imbottigliare come salami,
tipo alla Benedicta. Ma, se potete, filtrate in pianura, dove
quelli non vi cercano e dove anzi potete attaccare una retroguardia.
In questa autonomia vale anche il fatto che Bianco si è
portato 14 russi giù da Tortona non so bene dove, e che
Roncoli si é portato i suoi a Stazzano. Ma anche questo
fa parte della strategia: la cosa vietata è andare sul
monte Antola, e poi ognuno si regola un po' come riesce. E in
questo senso la guerra partigiana è proprio una guerra
democratica, nel senso che ognuno prende le decisioni per il meglio,
proprio perché noi a un certo momento non riusciamo a sapere
più niente. Alla sera del quindici di dicembre si mandano
le staffette ai distaccamenti dicendo: ordine di occultamento.
Il che significa buche, ma significa anche cercare di filtrare.
D-
Un’ultima domanda: quando a marzo si costituisce la divisione,
i distaccamenti come partecipano a questo processo? Te lo chiedo
perché abbiamo intervistato partigiani che cascano un po'
dalle nuvole, cioè che non sanno a un certo punto di essere
passati dalla Cichero a una nuova formazione.
Lazagna-
Lì giocano anche fenomeni di non ricordo. Mentre hanno
un ricordo fisico del distaccamento e del comandante di distaccamento,
le cose sfumano ad altri livelli. Che cosa fossero esattamente
i comandi io ho avuto difficoltà a spiegarlo a Carlini
l'altro giorno per telefono! Quindi nei quadri più preparati
questo non succede, ma nella base direi che non sanno bene chi
è il comandante e perché è lì. Direi
che il rapporto della brigata è più con i comandanti
e i commissari di distaccamento che non colla base. Anche se poi
ci sono casi particolari. Io per esempio quando dovevo andare
in azione, strada facendo mi andavo prendendo quelli che mi piacevano:
Cucciolo , il Nicolaj... Oppure andavi in distaccamento e dicevi:
"C'è da andare a Cassano Spinola: chi vuol venire?".
Si operava un po' così.
SCHEDA BIOGRAFICA DI GIOVANNI BATTISTA LAZAGNA
“Gibì”
Lazagna era nato a Genova il 15 Dicembre 1923. Appena iscrittosi
all’Università, nell’estate 1942, entrò
in contatto con l'organizzazione clandestina dei Partito comunista
(in particolare fu molto vicino a Giacomo Buranello e a Walter
Filllak. All’Università di Genova fu tra i promotori
di un gruppo antifascista che si proponeva azioni di propaganda
e di lotta armata contro il fascismo. Nell'estate 1943 si iscrisse
al partito comunista e dopo l’8 settembre lavorò
alla costituzione della cellula universitaria, a iniziative di
propaganda e alla diffusione dell'Unità clandestina.
La sua famiglia aveva una chiara connotazione antifascista: insieme
al padre Umberto, liberale, che diventò nel corso della
resistenza Capo di Stato maggiore della VI Zona ligure, tentò
di raggiungere le forze alleate al Sud. Fallito l’avventuroso
viaggio tornò a Genova, e nell'aprile 1944 salì
in montagna ed entrò a far parte della Brigata Garibaldi
insediata a Cichero: era il nucleo partigiano che doveva costituire
il gruppo dirigente delle divisioni Cichero e Pinan-Cichero, note
per il severo codice morale e per l’afflato unitario che
le caratterizzava: molti dei comandanti della formazione garibaldina
erano infatti cattolici e alcuni liberali.
La sua carriera partigiana fu rapida: divenne commissario politico
del Distaccamento «Peter» comandato dal cattolico
Aurelio Ferrando (Scrivia) e lavorò, nell’entroterra
ligure, soprattutto all’organizzazione delle Sap. Il 16
luglio 1944, gravemente ferito a Terrarossa di Gattorna durante
una imboscata contro un automezzo tedesco, dovette lasciare il
Distaccamento, che raggiunse poi a Bobbio il 23 agosto. Trasferitosi
con la formazione in Val Borbera, durante la battaglia di Pertuso,
nonostante le difficoltà motorie conseguenti alla ferita,
partecipò attivamente all’azione, impegnandosi soprattutto
nell’organizzazione delle difese dei paesi sottoposti all’attacco
e nella custodia dei prigionieri (che salvò letteralmente
da un tentativo di linciaggio da parte della popolazione).
La coppia Lazagna-Ferrando, l’uno comunista l’altro
cattolico, divenne un binomio quasi inscindibile, prima nella
nuova brigata Oreste, che dopo Pertuso presidiò Val Borbera,
e poi nella nuova divisione Pinan-Cichero, costituita nella primavera
1945, di cui divennero Comandante e Vice Comandante.
Nella Pinan-Cichero curò in modo particolare i rapporti
con la popolazione civile nel periodo in cui le valli tra il novese
e il tortonese vennero costituite in zone libere (Giunte comunali,
riapertura delle scuole) e i problemi di strategia e tattica delle
formazioni, sia da un punto di vista offensivo (battaglione mortai,
servizi logistici, squadre di villaggio) che difensivo (piani
di difesa, di ritirata, di occultamento, di aggiramento).
Il 25 aprile 1945 ricevette e controfirmò l'atto di resa
della guarnigione tedesca di Tortona.
Nel
dopoguerra lavorò per alcuni mesi all'edizione genovese
de “L’Unità”. E’ di quell’epoca
la stesura di Ponte Rotto, che divenne uno dei più noti
volumi di memorialistica resistenziale. In realtà Ponte
rotto non è solo un libro di memorie, ma anche un libro
di storia scritto in forma romanzata, come dimostrano le accurate
ricostruzioni su documentazione di prima mano su cui Lazagna basò
il suo lavoro.
Segretario di sezione dei P.C.I. dal 1947 al 1951 e tra i dirigenti
della Federazione comunista genovese fino al 1964, è stato
segretario per la Liguria del Comitato di solidarietà democratica
(1949-56), consigliere provinciale di Genova (1960-64), consigliere
comunale di Novi Ligure (1966-71), svolse, come avvocato, una
vasta attività di patrocinio in processi politici e sindacali.
Il suo nome balzò all’attenzione della stampa nazionale
nel 1974, quando fu arrestato in connessione alla inchiesta sulle
« Brigate Rosse » (vicenda oscura e complicata: ci
sono documenti ufficiali e ormai pubblici dei servizi segreti
che raccontano di una macchinazione ai danni di Lazagna –
doveva essere ritrovato cadavere – ai tempi del rapimento
Sossi). Nel carcere di Fossano conobbe Giovanni Pircher e scrisse
Il caso del partigiano Pircher (La Pietra, 1975) contribuendo
cosi alla sua liberazione.
Negli anni Novanta era ritornato all'attività politico-culturale
in provincia di Alessandria, diventando l'animatore della sezione
ANPI Val Borbera, distintasi subito per l'impegno nel promuovere,
oltre alle manifestazioni celebrative, importanti moneti di riflessione
e di dibattito sui temi della resistenza e dell'antifascismo.
Grazie al suo impegno la sezione ANPI Val Borbera fondò
anche il "Centro di documentazione di Rocchetta Ligure",
che in questi anni si è segnalato per l’organizzazione
di importanti convegni storici e per la pubblicazione di una collana
di studi storici.
Tra i volumi pubblicati dal "centro" bisogna ricordare
gli atti del convegno (svoltosi nel settembre 200) Val Borbera
1943-1945. Cronache e testimonianze di libertà e di solidarietà
internazionale, e L'intervista a "Minetto" comandante
della brigata Arzani, che rappresenta l'ultimo lavoro saggistico
di Lazagna. Negli altimi mesi della sua vita ha lavorato a un
saggio su Aldo Gastaldi, Bisagno, rimasto incompiuto e inedito.
Il “Centro di documentazione” di Rocchetta Ligure
è riuscito a raccogliere intorno a se in questi anni molti
giovani, contribuendo a rilanciare la discussione, sempre libera,
spregiudicata e aliena di retorica, sulla lotta partigiana e il
dopoguerra.
Gibì lascia, dispersa in molti luoghi, una vasta documentazione
della sua attività partigiana, politica, di avvocato, di
studioso (ci sono anche molte interviste audio e alni video).
L’auspicio è che questo materiale possa essere raccolto
e conservato, sottraendo all’oblio e alla distruzione i
segni della biografia di uno dei protagonisti della resistenza
sull’appennino ligure-alessandrino.
L’ultimo scritto di Lazagna:
Il suo commento a proposito degli atti vandalici subiti dal Sacrario
della Benedicta lo scorso autunno
Nel
novembre 2002 ignoti hanno compiuto un atto vandalico al sacrario
della Benedicta. Molti studiosi e partigiani hanno voluto inviare
un testo di solidarietà e di riflessione al sito internet
dell’Istituto per la storia della resistenza e della società
contemporanea in provincia di Alessandria (www.isral.it). Tra
essi anche Giovanni Battista Lazagna: quel messaggio rappresenta
il suo ultimo atto pubblico, che qui pubblichiamo.
Informato
dell’oltraggio e della devastazione del Sacrario della Benedicta
dedicato ai quattrocento partigiani fucilati o deportati il 6
aprile del 1944, Giambattista Lazagna, partigiano e presidente
dell’ANPI Val Borbera “Pinan” ha dichiarato:
La notizia mi riempie di rabbia nei confronti dei teppisti che
hanno consumato l’oltraggio da vigliacchi come erano nel
1944 e come sono oggi i loro figli e nipoti, operando in luogo
deserto ed incustodito per ferire la memoria dei caduti e di tutta
la popolazione di cui essi erano figli. La notizia tuttavia non
mi sorprende perché innanzitutto è frutto di un
clima creato negli ultimi anni da chi ha voluto rivalutare fascisti
e nazisti per varie ragioni di ambizioni elettorali, di interessi
economici di pennivendoli, e soprattutto di servilismo rampante.
Anche qui da noi, in Val Borbera, terra di zona libera partigiana,
gli SS della casa dello studente di Genova, i seguaci dell’ergastolano
colonnello Engel e i suoi giovani ammiratori, si sono dati appuntamento
il 22 settembre scorso a Vigoponzo di Dernice per ricordare i
33 SS italiani, spie travestiti da partigiani e traditori che
avevano giurato fedeltà ad Adolf Hitler, catturati e fucilati
dai partigiani il 14 settembre. Il 14 settembre, un po’
dappertutto, messe, cerimonie, servizi giornalistici, ispirati
ad una pietà di cui nessuno aveva sentito il bisogno per
oltre cinquant’anni!
Facciano liberamente i loro riti, ma non osino ostentare la loro
presenza come è stato fatto sparando sulla lapide di Pertuso
che ricorda 108 caduti partigiani e valligiani . Abbiamo organizzato
a Pertuso un presidio con appelli telefonici e verbali, e abbiamo
radunato cinquanta persone attorno alla stele dei caduti e alla
nostra bandiera.
Ma il presidio ideale e materiale al nostro territorio libero
partigiano, rimane e sarà rafforzato.
Gibì
Lazagna