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Intervista con Giovanni Battista Lazagna sui rapporti tra distaccamenti e comandi di brigata e di divisione  
di Roberto Botta  
 

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Gianbattista Lazagna

Intervista a Gianbattista Lazagna sui rapporti fra distaccamenti e comandi di brigata e di divisione di Roberto Botta

Per la morte di Gianbattista Lazagna "Carlo" di Antonio Gibelli

 

 

C'erano centinaia di persone, sabato 25 gennaio a Rocchetta Ligure. C'erano i partigiani di Genova, del novese e del tortonese, delle altre zone dell'alessandrino; c'erano docenti universitari e insegnanti e c'erano operai e lavoratori di Genova e di Novi; c'erano diversi ragazzi di vent'anni, molte donne e uomini di quaranta e cinquant'anni. Insieme hanno cantato Bella ciao, e hanno applaudito a lungo.
Erano lì, alcuni ritrovandosi insieme dopo diversi anni, per dare l'ultimo saluto a Giovan Battista Lazagna, il comandante partigiano "Carlo", Gibì per gli amici e anche per molti che così, con affettuosa ammirazione, lo chiamavano anche senza conoscerlo personalmente.
"Carlo" se ne è andato mercoledì 22 gennaio 2003 e adesso riposa nel piccolo cimitero di Rocchetta, vicino all'orto che aveva curato con passione sino a quando aveva potuto, vicino alle montagna e alle rocce su cui aveva combattuto durante la resistenza, a poche centinaia di metri dalla casa in cui lui, genovese, abitava ormai da molto tempo, quella stessa casa in cui aveva vissuto momenti tormentati della sua vita e molti altri momenti sereni vicino alla famiglia e agli amici.

Lazagna ha avuto un ruolo importante nella storia della resistenza e, soprattutto, nella elaborazione e nella socializzazione della emoria degli avvenimenti e delle idee della lotta partigiana: per questo crediamo che il modo migliore per ricordarlo sia quello di dare a lui, ancora una volta la parola.
Le sue parole che abbiamo scelto sono tratte da una lunga intervista, realizzata alla fine degli anni Ottanta, insieme a Daniele Borioli, nell’ambito di una campagna di interviste biografiche per una ricerca sui partigiani della Pinan-Cichero. Quando incontrammo "Gibi", che era anche uno dei nostri “mediatori” per la scelta dei testimoni, sapevamo già che avremmo registrato un'intervista particolare, sia per l'importante ruolo di comando ricoperto da Lazagna, sia soprattutto per quel gusto per la riflessione storiografica a proposito dell'esperienza partigiana che non lo abbandonò mai.
Ne uscì una conversazione fiume, oltre nove ore di registrazione, caratterizzata da un fitto intreccio tra ricostruzione biografica e suggestioni interpretative sull'esperienza della Pinan-Cichero, quasi un preludio alla sua "seconda" stagione di storico della resistenza ligure-alessandrina che caratterizzò questi suoi ultimi anni.
Ci fu poi una ulteriore appendice, realizzata in vista di una giornata di studio sul distaccamento "Franchi" che organizzammo insieme, in cui riflette soprattutto dei rapporti tra distaccamenti e comandi, uno dei temi a lui più cari, e che offre spunti molto stimolanti a proposito della soggettività partigiana. Quella che qui pubblichiamo, in versione integrale, così come è stata raccolta, è proprio quest’utlma parte della registrazione.


D- In questa parte dell'intervista vorremmo ragionare soprattutto sul tema dei rapporti tra i distaccamenti e i comandi partigiani. Dal punto di vista cronologico Il raginamento si può focalizzare nei giorni della tarda estate 1944, dopo la battaglia di Pertuso e con l’avvio di una presenza partigiana stabile in Val Borbera...

Lazagna.- Subito dopo la battaglia di Pertuso abbiamo il rastrellamento di agosto i cui itinerari più o meno sono stati ricostruiti. Comunque possiamo dire che la riorganizzazione avviene nella seconda metà di settembre; quando si é ripreso un buon livello l'organizzativo, si è posta la questione dello schieramento, anche in maniera difensiva, per la difesa del territorio...

D- Ma chi discute questi problemi?

Lazagna- C'è stata la riunione a Capanne di Carrega, mi pare il 23 di settembre, alla quale io ho partecipato e nella quale vengono date le direttive generali.

D- Però a me sembra che il comando di brigata sia il livello, diciamo così, più "basso" che partecipa a questa discussione...

Lazagna- Dunque: la brigata Oreste se ben ricordo era già stata istituita appena prima del rastrellamento, però nella battaglia di Pertuso c'è un coacervo di forze di tutte le provenienze, non omogenee. Tanto è vero che la ritirata si fa coi vecchi gruppi e non in modo organizzato. Quelli che erano già prima con Marco vanno da una parte e gli uomini di Scrivia da un'altra, eccetera.
Quindi, agli effetti pratici, la brigata si organizza dalla seconda metà di settembre in poi. Mi pare che sia venuto in Val Borbera una volta, in quell'epoca, anche Bisagno per vedere i posti, e ricordo di aver girato parecchio anch'io. Mi ricorda che Tigre con il distaccamento Castiglione, allora, era a Caprieto di Mongiardino e mi ricordo di essere andato a visitarlo. Poi immediatamente dopo c'è stato il recupero di metà del distaccamento Peter che era rimasto durante il rastrellamento in Val d'Aveto e che prende il nome di Villa. Questo mezzo distaccamento Peter rientra e si insedia a Mongiardino. Comandante é Mino , mi pare.

D- Scusa, vorrei soffermarmi su questo tema: i cambi di comandante io ho l'impressione che non siano poi così democratici, decisi cioè da elezioni tra i componenti dei vari distaccamenti...

Lazagna.- Ma guarda, certamente nei distaccamenti c'erano queste figure emergenti, nel senso che magari uno era Vice comandante di distaccamento, si levava Mino perché andava al comando di brigata e c'era una successione quasi naturale. In genere queste venivano poi discusse e ratificate dal distaccamento. Si capisce che in questa discussione erano più influenti i vecchi partigiani; per esempio la recluta che era arrivata da una settimana non aveva molta voce in capitolo, erano quei tre o quattro vecchi...Ma in generale c'era sempre una consultazione:
Non so: Mino si trasferisce al comando di brigata; Mino stesso diceva: " Che cosa te ne pare?". E allora ci si riuniva e si discuteva: "Mino va via e bisogna fare un altro comandante. Il comando propone questo ... ". Ecco: direi che non ci sono mai state formalizzazioni precise del voto, però c'era una discussione e queste scelte corrispondevano alla valutazione degli uomini del distaccamento. Anche perché c'erano tutti questi capi squadra che avevano già una loro funzione.

D.- Ma non c'è mai stato il caso di qualche comandante di distaccamento proposto dai comandi e mal digerito dagli uomini?

Lasagna,- Un caso è stato proprio quello di [...] , credo l'unico, anche se non ne sono sicuro, E' successo nel periodo in cui sono rimasto assente quando sono rimasto ferito a luglio. In quel periodo lì, anche se non so precisare quale, [...] è stato nominato vice comandante di distaccamento e c'è stata una specie di rivolta; nel senso che lui aveva dei metodi autoritari che non venivano accettati. Ma io non ho partecipato direttamente a questa vicenda... So che lui aveva un modo di trattare che gli altri partigiani non accettavano.
In genere però le sostituzioni dei comandanti avvenivano in modo naturale... Insomma, eravamo tutti amici, si viveva sempre insieme... Naturalmente c'era consultazione, poi a un certo punto la cosa veniva ufficializzata e allora si diceva: "Il comando propone questa qua: cosa ne pensate…". Ma in genere era quasi un processo naturale. Poi si capisce che, negli ultimi periodi, ad esempio, abbiamo fatto il distaccamento prigionieri e i quadri di comando li abbiamo nominati noi; abbiamo fatto il distaccamento armi pesanti e li abbiamo nominati noi: c'era un tenente di artiglieria che aveva le cognizioni tecniche specifiche e l'abbiamo nominato. Il distaccamento reclute lo stesso: aveva un grosso compito di vaglio preventivo per impedire infiltrazioni, e aveva anche il compito di fornire un inquadramento politico militare preciso.

D- Vorremmo sapere qualche cosa di più sullo schieramento dei distaccamenti in Val Borbera…

Lazagna.- Dunque: noi avevamo il problema della Valle Sisola, in cima alla Valle Sisola c'era stato prima il Castiglione con Tigre; poi se non sbaglio in Castiglione si é spostato a Pertuso e sono arrivati questi della Val d'Aveto e si è costituto il Villa comandato da Mino. Poi avevamo altri due distaccamenti: uno a Borassi e uno a Roccaforte. Quello a Roccaforte con il compito di tenere Lemmi, cioè le provenienze da Borghetto e la sinistra del Borbera. Invece l'altro mi pare tenesse di più Grondona-Camere, cioè le provenienze da Arquata Scrivia via Grondona e da Isola del Cantone, Camere nuove e Camere vecchie. Per cui i tre punti erano Mongiardino, Borassi e Roccaforte; con delle varianti, nel senso che a un certo momento il Franchi è diventato battaglione e mi pare che il distaccamento di Lemmi dipendeva da Roccaforte. Ma sono tutte cose che hanno avuto durata di un mese o due ...
A un certo punto è stato fatto un distaccamento stranieri che poi non ha dato buona prova, con il comando di Giaguaro, un tedesco. Non ha dato buone prova proprio perché nei momenti dì emergenza e di difficoltà questi stranieri non sapevano bene come muoversi, e invece inseriti in un gruppo di italiani avevano un loro ruolo preciso, nel senso ad esempio che i russi erano particolarmente decisi e sapevano usare le armi; per contro non sapevano come chiedere rifornimenti, non conoscevano la geografia dei luoghi. Diciamo quindi che ci sono stati molti cambiamenti e senza carte in mano sarebbe difficile ricostruirli.
Ma ad esempio: andiamo al ruolo del comando, Il comando di brigata era un collettivo, di cui facevano parte praticamente i vecchi partigiani che erano poi l'espressione, in un certo senso, spontanea della base: Scrivia era il comandante del distaccamento Peter ed è diventato il comandante della brigata Oreste e così via. E un po' per tutti é cosi, per me, per Moro ... Poi c'è stata più tardi la questione della supplenza di Bisagno e allora sono partiti Moro e Scrivia per supplire a Bisagno e siamo rimasti noi in Val Borbera da soli, ad esempio durante la battaglia di Cantalupo, ma diciamo che c'era questo funzionamento collettivo.
Noi si dormiva sempre nella sede del comando, di giorno si girava e alla sera si riferivano le cose e si pigliavano le decisioni. Ognuno portava dei problemi... "Io sono stato al distaccamento Franchi: c'è questo e c'è quello...". Si discuteva. E naturalmente chi andava, indipendentemente dai ruoli precisi, si occupava di tutto, dalle scarpe, ai viveri, alle sentinelle, ai rifugi. Si capisce, ognuno secondo la propria personalità, ma in generale c'era questa grande intercambiabilità di ruoli. Io ad esempio andavo spesso a Roccaforte, e quando arrivavo lì cominciavo a dare un occhiata a vedere se c'era la sentinella, e cominciavo a dire: “Ma la sentinella dov'è?". "E' là…". "Ma forse non è proprio il punto giusto...". E allora magari loro ti spiegavano: "L'abbiamo messa lì perché dall'altro lato siamo coperti dal distaccamento di Borassi". E quindi c'era anche questa discussione in cui chi veniva dal comando portava degli elementi ma naturalmente ascoltando anche.
Ogni tanto si faceva anche qualche ispezione, ad esempio per verificare che non si mangiassero i viveri di riserva, eccetera. Oppure problemi di questo genere: "Ma i russi vogliono andare a girare, e poi se gli offrono un bicchiere di vino lo accettano".

D- Ma un distaccamento come il Franchi che era stanziato in paese, a Roccaforte, creava dei problemi particolari?

Lazagna- Guarda, io a Roccaforte avevo due amici: uno era il prete, don Giovanni, con il quale qualche volta mi sono anche fermato a fare una partita a scacchi, perché a lui piaceva. E un altro era un notaio, Casale, che era originario di Roccaforte ma faceva il notaio a Biella e in tempo di guerra aveva chiuso bottega e se ne stava lì. Io avevo ottimi rapporti con tutti e due: o prima o dopo aver visitato il distaccamento mi fermavo a visitare questi due...
A me non risulta che ci siano state difficoltà con la popolazione; forse qualche cosa ... Ma tu tieni presente che a Roccaforte c'era Gin che era di una pignoleria straordinaria, nell'attenzione a che non succedesse nessun inconveniente. Per esempio l'estate scorsa sono andato e ho saputo che Poletaev prendeva lezioni di italiano dalla maestra. Per cui il problema che poteva sorgere, ma era un problema di tutta la guerra partigiana, è che la presenza partigiana poteva essere l'elemento di una rappresaglia sul paese. Questo timore era sempre presente e probabilmente qualche mormorio sommesso o anche meno sommesso da parte della popolazione ... "Se vengono i tedeschi poi voi ve ne andate e a noi ci bruciano le case". E allora li c'era questa trattativa continua. D'altra parte loro usufruivano di certi vantaggi, nel senso che avevano tutti i renitenti in casa e la presenza dei partigiani garantiva la vigilanza e l'allarme, e quindi a loro volta facevano in tempo a nascondersi. Certo, con le tensioni di un periodo in cui si poteva lasciarci la pelle da un momento all'altro, e questo valeva per le popolazioni come per i partigiani... Però direi che nell'insieme c'è stato un grosso legame dei partigiani con la popolazione.
Tieni presente questo: che noi svolgevamo anche un compito di polizia civile. Per esempio io ricordo perfettamente il cieco delle Ripe rosse che é venuto al comando a lamentarsi che i figli lo trattavano male. E allora si andava e si faceva una romanzina ai figli perché trattassero bene il padre!

D.- Quindi garantivate anche alcuni servizi...

Lazagna,- Sì, ad esempio garantivamo anche certi approvvigionamenti nei negozi... Ricordatevi che c'era pieno di sfollati in quell'epoca lì, e quindi se in genere l'economia contadina era abbastanza autosufficiente, questi non avevano produzione propria; e allora si metteva a disposizione dei negozi un po' di grano e un po' di farina. E, attraverso certi accordi, anche un po' di sale e di tabacco. Lasciavamo andare i carri di legna giù a Tortona per il riscaldamento delle scuole e in cambio "loro" mandavano forniture di tabacco e di sale. Per cui tutto sommato c'era una collaborazione.

D.- Ma questo rapporto con la popolazione che a tuo giudizio aveva un andamento tutto sommato positivo, all'interno del distaccamento partigiano quanto costava in termini di disciplina. Voglio dire: era facile tenere dei ragazzi di 20 anni?

Lazagna- Era difficile, tanto che all'inizio nelle prime fasi ante rastrellamento d'agosto la disciplina era addirittura feroce e monastica, nel senso che non si poteva parlare con la gente eccetera. In un secondo tempo era impossibile!...: 'Sti contadini organizzavano il ballo con la fisarmonica e il partigiano andava. E i comandanti e i commissari chiudevano un occhio. Permettevano, oppure minacciavano... Dicevano: "Guardate che se succede qualche cosa non vi lascio più andare!". Insomma, era una specie di deroga al principio, ma questa deroga poi si è abbastanza generalizzata, tanto è vero che poi c'è stata tutta una serie di matrimoni tra partigiani e ragazze del posto. Credo che si contino a parecchie decine...

D- ma voi del comando, o quanto meno i partigiani più politicizzati, pensavate che la presenza di un distaccamento fianco a fianco con la cittadinanza potesse essere un tramite, adesso la butto giù un po' schematicamente, per conquistare la popolazione alla causa partigiana?

Lazagna,- Noi comunisti ne avevamo una piena cognizione. Ci consideravamo proprio in missione politica. Abbiamo preso anche delle iniziative particolari, ad esempio ricordo il laboratorio di sartoria di Cabella, dove si riunivano al pomeriggio le ragazze a cucire alcune cose per i partigiani; e chi stava dietro a questa iniziativa era la Marietta . Lei in quel periodo lì aveva l'incarico di dirigere l'ospedaletto di Rosano, ma era spesso a Cabella e seguiva queste ragazze con le quali c'era anche una discussione politica.
Diciamo che l'approccio politico con questa gente era molto prudente, siamo in zone di piccola proprietà, di aziende di sopravvivenza, con una grossa influenza del clero: allora c'erano forse 30 preti nell'alta Val Borbera contro i 4 o 5 che ci sono adesso. C'era un controllo religioso piuttosto forte.
D.- Ma tu parlavi prima di questo prete di Roccaforte: oltre a giocare a scacchi. con lui che rapporto c'era? Per esempio: lui sapeva che oltre a essere un partigiano eri un comunista... Ti chiedeva qualche cosa?

Lazagna,- Ma guarda, adesso i ricordi sono vaghi: non ho ricordi di discussioni. Intendiamoci: lui era un uomo di un certo livello culturale e di certi interessi, però diciamo che un pochino era riservato, nel senso che non si sbilanciava eccessivamente, e un po' la frase tipica, ricostruita vagamente a memoria, poteva essere questa: "Noi siamo, con diversi modi di pensare, d'accordo nel condannare il fascismo e il nazismo". Però poi tirava fuori la terra e tutte le sue obiezioni: "Qui i contadini hanno la tradizioni; voi vi volete mettere a negare la religione e invece...". Diciamo che erano discussioni un po' sui massimi principi più che su cose concrete. Poi sulla cosa concreta si andava d'accordo, nel senso che non mi é mai capitato di sentire dire: "Ma lei che é del comando veda un po' questi partigiani che non si comportano bene"... Una cosa del genere non mi è mai capitata di sentirla. Sul concreto magari loro ti dicevano: siate prudenti, state attenti, non coinvolgete la popolazione; e noi si rispondeva: si fa quello che si può!
Ma anche con il notaio… Con lui discutevamo molto, e lui che era, diciamo, liberal-laico diceva: "Il comunismo é un errore perché l'iniziativa privata è la molla del mondo", e noi si rispondeva come si poteva, dicendo magari che le classi erano la rovina dell'umanità. Ma erano discussioni un po' a livelli stratosferici, ossia sui massimi principi, e poi anche rozze, perché la cultura teorica nostra e loro era abbastanza relativa.

D- Quindi tu andavi abbastanza spesso a Roccaforte: se tu dovessi dare un'immagine del distaccamento Franchi che era dislocato in paese, come lo definiresti?

Lazagna- Direi che era uno dei migliori distaccamenti... Intanto le due figure che lo guidavano: Pinan era un contadino di 20 anni, un uomo di grande carisma, di grande serietà e di grande coraggio, al di sopra di qualsiasi critica. Accanto a lui c'era Gin, che era del '12, che portava in tasca il congedo militare per motivi razziali, perché era ebreo. Era molto preciso, pignolo e puntuale: non si lasciava sfuggire nulla né sulla disciplina né sui rapporti con la popolazione. E naturalmente poi c'erano tutti i capi squadra: certo provenienze diversissime, un mucchio di stranieri, russi ma anche polacchi.

D.- Questa distaccamento sembra avere proprio questa particolarità, di essere abbastanza eterogeneo, almeno rispetto ad altri. Era una cosa voluta o è capitato per caso?

Lazagna.- No, direi che é capitato per caso. Negli ultimi mesi é stato fatto un distaccamento reclute anche perché si temeva che arrivasse qualche spia, però in genere il reclutamento é spontaneo, nel senso che reclutava il distaccamento stesso. E quindi loro erano a ridosso di Ronco Scrivia e quelli di Ronco venivano su.
Tenete presente che ogni distaccamento aveva una sua rete informativa, e quindi aveva informatori a Ronco, a Isola del Cantone, e c'era anche, mi sembra, uno anziano che si chiamava Chiavari, che, proprio in forza della sua età, andava in giro disarmato a vedere e a parlare con la gente, per capire come andavano le cose. Per cui si creavano dei canali attraverso i quali certe cose si sapevano: ad esempio c'erano tre ragazzi di Ronco che volevano scappare, entravano in contatto con il distaccamento e dopo un vaglio un po' sommario che dipendeva dalle "raccomandazioni" che ricevevano, venivano accolti.

D- Vorrei soffermarmi ancora sul Franchi, perché di questo distaccamento abbiamo molti ruolini, anche se non sempre si riesce a stabilire la data precisa di ciascuno. Però si nota una rotazione fortissima nel distaccamento: io ho censito quasi 100 partigiani che circolano nel Franchi e poi vanno in altri distaccamenti, o arrivano al Franchi provenienti da altre formazioni. Tu ricordi questo fenomeno?

Lazagna- Ma questo fenomeno era abbastanza frequente nel senso che per qualche ragione uno desiderava andare in un altro distaccamento e la cosa veniva assecondata: o perché c'era un gruppo di compaesani, a perché c'era un fratello, o perché si avvicinava alla zona di provenienza, o perché c'era la fidanzata; e in alcuni casi non escluderei che qualcuno si trovasse anche male perché aveva subito qualche rimprovero. In linea di massima il consenso veniva dato.
Si poteva registrare anche qualche caso abbastanza clamoroso: per esempio Tigre e i suoi 3 a 4 amici, Pantera, Punin e Aquila, che erano tutti di Nervi, erano in un primo tempo nella banda Berretta, che era nel parmense, banda con la quale avevamo dei rapporti. A un certo momento loro erano genovesi e han trovato dei genovesi e sono passati con noi, con il consenso della brigata. Così, per motivi chiamiamoli geo-politici.

D.- Ma questi movimenti li controllate voi come brigata o avvengono spontaneamente?

Lazagna- Direi che avvengono spontaneamente. C'è stata qualche direttiva ad esempio sui russi, proprio perché c'era stata un’esperienza negativa nel distaccamento stranieri, s'era detto che i russi andavano distribuiti in tutti i distaccamenti. Oppure qualche trasferimento per ragioni tecniche. Ad esempio: non c'è nessuno che possa fare il comandante perché non è bene accetto, oppure vi mandiamo il commissario, o l'intendente. Ma anche lì si tratta di casi sporadici. Direi che la regola è che questi movimenti sono spontanei e approvati.

D- Non ricordi casi di insofferenze, o di litigi ...

Lazagna- Ma qualche caso, così... Quando io andavo nei distaccamenti m ponevano il fatto di uno che magari era indisciplinato. In generale si cercava di risolvere sul posto, in qualche caso si risolveva con un trasferimento.

D- Io ricordo a proposito del Franchi che c'è una fitta documentazione firmata da Falco che fa riferimento a un periodo in cui si determina un vuoto di comando. Tu cosa sai di questo periodo.

Lazagna- Falco era vice comandante e prende il comando dopo la morte di Pinan. Adesso non so se é riferito a quel periodo…

D- Lui auspica la nomina di un comandante, ma fa riferimento non solo al fatto che manca un quadro di comando preciso ma anche proprio a difficoltà che ci sarebbero all'interno del distaccamento,

Lazagna.- Io non ho un ricordo preciso di queste cose…

D- Non è che Juventus è stato inviato proprio per questo?

Lazagna,- Può darsi, può darsi-

D.- E dal punto di vista politico come lo ricordi questo distaccamento?

Lazagna,- ma sai, Pinan, Falco, Ramis, Gin, erano tutti dei comunisti. Direi una situazione omogenea

D.- Ma questo fatto determina anche una maggiore affiliazione al partito nella base partigiana o no?

Lazagna.- Diciamo che ufficialmente come comando.. Io per esempio pur essendo nel comitato di partito della Divisione non mi sono mai occupato di proprio queste cose, la direttiva che noi si dava era che le riunioni di partito dovevano essere pubbliche. Ma naturalmente, sai, se avevi da parlare di reclutare uno o di criticare un altro si riunivano magari anche informalmente ma in chiuso. E non escludo che magari queste riunioni si facessero anche chiuse. Non posso escluderlo, anzi sarei portato a pensare che sia vero, anche se non apparteneva alla direttiva, però è abbastanza naturale che un gruppo che si caratterizza rispetto ad altri voglia discutere.

D.- Questa va bene, ma un conto é se lo fai informalmente, e un altro se dici: adesso facciamo la riunione di partito

Lazagna.- Questa è una cosa che io avrei disapprovato. Io la vita di distaccamento l'ho fatta solo sino ad agosto, poi andavo a visitarli. Nel periodo in cui ero commissario del distaccamento Peter non si sono fatte riunioni di partito, e neanche a Cichero; salvo che si riunissero a "complottare" Bini, Marzo, Lucio; magari si mettevano lì in 3 o 4 e facevano dei discorsi loro. Ma ufficialmente una riunione di cellula chiusa io non l'ho mai vista. In un periodo successivo non te lo so dire: non apparteneva alle direttive, questo senz'altro, però non escludo che si facessero.

D- E invece la riunione serale… Avveniva in tutti i distaccamenti?

Lazagna- Credo che avvenisse. In generale iniziava sempre con un'informazione militare, perché il commissario andava a sentire Radio Londra e dava un'informazione che era molto apprezzata dai partigiani: era l'unica fonte di informazione, non c'erano giornali e niente. Per cui sapere che gli alleati erano arrivati a Rimini o che erano sbarcati era del massimo interesse. Naturalmente poi veniva il discorso sul funzionamento del distaccamento, e la gente faceva obiezioni. E mi sembra che i giornali murali riflettano un pochino queste discussioni. Punizioni, i problemi militari del distaccamento. Certo varia molto da distaccamento a distaccamento, ma ritengo che nel Franchi, proprio per questa omogeneità politica e per la presenza di Gin che era proprio un carabiniere in questo senso, ci fossero molte riunioni.

D.- Ecco: mi piacerebbe che ci descrivessi un po’ meglio la personalità di Gin…

Lazagna,- Gin intanto spiccava per questa differenza di età, 32 o 33 anni, noi lo consideravamo già un Matusalemme. Noi pensavamo che fosse un cinquantenne. Comunque per noi era un “vecchio”. E lui era uno senz'altro pignolo, e basterebbe vedere come sono tenute le carte; e non si lasciava sfuggire nulla. Nelle conversazioni, numerosissime che ho avuto con lui, aveva questa bivalenza, nel senso che diceva: “Carlo - parlava genovese - qui se non teniamo la disciplina è un disastro! Qui sono dovuto intervenire perché quello andava a ballare". E lui sapeva tutto e controllava tutto. Però, nello stesso tempo con me ammiccava: “Si capisce, sono ragazzi Però io non posso cedere perché se no dove si fa a finire, se rilassiamo la disciplina". Quindi c'era questo senso, di dover svolgere il proprio ruolo con una certa severità senza però fare tragedie di queste cose. Direi che era un uomo equilibrato e umano, E poi un uomo anche di capacità. Come anche Falco, che poi é stato il capo dei sindacati dei portuali a Genova per moltissimi anni, un elemento di valore.
Gin non é che fosse un intellettuale nel senso letterale della parola. Infatti poi, quando ha cessato di essere segretario dell’ANPI, ha messo una bottega di lana a Sampierdarena... Penso che non avesse letto né Marx né....A parte l'impossibilità a quell'epoca di reperire i testi. Noi che eravamo studenti avevamo avuto in mano il materialismo storico di Labriola che aveva in appendice il manifesto dei comunisti. Quindi a parte qualche bagaglio trasmesso oralmente dai vari Buranello, Fillak, Scano, non avevamo letto niente o quasi. Uno come Gin, che non era uno studente, credo che non avesse letto niente. Leggeva quel po' di stampa clandestina che poteva circolare a quell'epoca. Quindi diciamo che c'era più una tradizione orale dell'utopia che non una conoscenza diretta sui testi marxisti.

D- Però un personaggio del genere, proprio per questa aderenza alla cultura orale (definiamola così) forse era più adatto a un rapporto immediato con i partigiani ...

Lazagna- Certo, certo, capisci uno cercava di far politica sulla base dei principi: siamo tutti uguali, ci diamo tutti del tu, tutti compagni... E ci ricamavi, su questi principi. Voglio dire che era tutto un ricavato da qualche principio, non certo da una elaborazione teorica.

D.- Ma a quel che tu ricordi quali erano i punti fermi di Gin, le sue fisse?

Lazagna.- Per esempio: se uno prendeva un bicchiere di vino in più era un fascista. Era un prevaricatore. C'era questo gran senso della moralità, che il comunista è l'uomo della massima moralità, che non prevarica, che non fa prepotenze, che é giusto. C'era questo moralismo spinto, e secondo me Gin era proprio uno degli esemplari più rappresentativi di questo moralismo. Un altro era Moro, e Terzo . Anche se Terzo era un po' più bonario, nel senso che lui diceva: "Eh! Quei ragazzi avevano fame, e io gli ho dato di più". Ecco, mentre forse Gin diceva: "No, ci sono quegli altri a 10 chilometri che non hanno avuto niente e quindi voialtri tendete la cinghia". Parecchio intransigente.

D.- Gin veniva dal Peter?

Lazagna.- No, non so da dove sia arrivato. Nel Peter fin che ci sono stato io, ossia a luglio, perché sono stato ferito il 16 luglio e sino al 24 agosto l'ho perso di vista, non c'era e se non è arrivato in quel periodo lì ... Ma non mi pare: io l'ho trovato in Val Borbera.

D- Vlevo chiederti un'altra cosa: questo uso del dialetto genovese era molto diffuso?

Lazagna- Guarda, io personalmente non lo parlavo perché in casa mia si parlava italiano. L'ho imparato, ed ero costretto a usarlo perché era la lingua...

D.- Non era forse anche un po' un segno distintivo all'interno della brigata? Essere genovesi...

Lazagna,- Lì c'è un grosso principio d’anzianità che viene osservata per le promozioni ai gradi di comando. Certo che c'è qualcuno, come Gandolfo, che era uno dei più vecchi ma non aveva attitudini di comando. Però in generale nella promozione a capo squadra l'esperto era considerato quello che era già lì da 3 mesi. Per cui tu parti con un nucleo come il Peter che era tutto di genovesi di nascita o di gente che abitava a Genova, e quindi per germinazione normale diventano poi capi squadra e via di seguito. Ma non sottovaluterei insieme al fattore anzianità inteso in senso stretto anche il fattore educativo, cioè il fatto che l’anzianità corrispondeva anche ad una certa formazione di mentalità che si era creata.

D.- Le punizioni: secondo te nel Franchi ne venivano comminate molte o no?

Lazagna- Sarei portato a pensare che era uno dei distaccamenti in cui si puniva di più, proprio perché c'era questa grande rigidità moralistica, ecc. Anche se queste punizioni poi erano un po’ così…

D- A proposito dei rapporti tra comandi e distaccamenti: voi del comando di brigata, quanto sapevate della vita concreta dei distaccamenti?

Lazagna,- Direi non molto. Ti dico: io quando andavo là ci dormivo in genere una notte, e vedevi certe cose, ma in gran parte erano quelle che mi dicevano Gin e Pinan. Poi ogni tanto arrivava qualcuno a lamentarsi. Magari arrivava il corriere a dire: “Ma li sono tutti senza scarpe e la gente è scontenta», ma tutto sommato credo che se nel distaccamento c'era qualche difficoltà grossa lo venivamo a sapere subito e si interveniva. Perché in un distaccamento direi che in un mese ci andava una volta Scrivia, una volta io, una volta Moro… Lo stesso intendente, Terzo, che aveva queste funzioni di partito, aveva a sua volta i suoi canali per sapere dall'interno certe cose. Naturalmente quando le cose erano tranquille non è che conoscessimo poi gli uomini uno per uno.

D- E dal punto di vista militare? Come arrivavano le direttive ai distaccamenti?

Lazagna.- La grande forza dell'Oreste era di mandare continuamente uomini in azione, e questo era una grossa scuola. La regola era di andare a turno, in modo che una squadra del distaccamento era quasi sempre in giro. Poi si potrebbero fare delle considerazioni più generali sul fatto che non sapevamo combattere tutti insieme: ogni distaccamento combatteva un po' per conto suo. Intendo dire che noi abbiamo fatto proprio delle azioni con lo scopo di collaudare la capacità di muovere una brigata intera in modo concertato. Tieni presente che non c'era nessun mezzo di comunicazione, per cui uno che era a 5 Km da te impiegavi un'ora per mandare un biglietto e un'altra ora per sapere la risposta…

D- Quindi nelle azioni i distaccamenti si muovevano con una autonomia molto ampia...

Lazagna- C'erano delle direttive precise per settori, nel senso che ad esempio il distaccamento Franchi doveva operare da Arquata a Isola del Cantone, poniamo, se voleva fare qualche cosa al di fuori di quella zona doveva avvisare il comando e farsi autorizzare. In quella zona lì le azioni più importanti venivano concertate: per esempio una volta, proprio insieme al Franchi mi pare, siamo andati io e Minetto con un certo Sandro che era il capo della squadra sabotatori perché volevamo far saltare un pezzo di autostrada a Pietrabissara, che poi quando siamo arrivati sul posto abbiamo visto che non si poteva fare. Siamo andati con due muli carichi d'esplosivo, e diciamo che questa era un'operazione che aveva un valore strategico per cui avevamo studiato prima, male, ma li avevamo studiati, i piani. Invece c'era una autonomia per tutto quanto riguardava incursioni sulla camionale, eventuali attacchi a piccoli presidi e posti di blocco, e il distaccamento agiva sulla base delle proprie ricognizioni e delle informazioni dirette con i Cln. Sul piano difensivo-offenivo c'erano delle regole concertate precise: in caso di attacco voi tenete questa posizione, mandate immediatamente una staffetta al comando per avvisare; se poi le forze sono preponderanti vi ritirate in questa zona e poi dopo 2 o 3 Km cercate di andare in pianura infiltrandovi, e se no vi nascondete nella boscaglia, ecc. Io per esempio quando andavo a Roccaforte mi informavo: avete fatto le buche, avete fatto i rifugi?

D- Scusa se ti interrompo: voi davate delle direttive abbastanza precise, ma di fronte a un momento cruciale come un rastrellamento, come comando di brigata riuscite a governare il ripiegamento. Ancora un esempio relativo al distaccamento Franchi, dove è documentata la decisione di un gruppo di partigiani di non andare nelle buche nel corso del rastrellamento , mentre la direttiva era proprio quella di imbucarsi…

Lazagna- Vedi, la direttiva era questa: in caso dividersi anche in gruppetti di tre. E questa era una direttiva già a Cichero: nel maggio del '44 si diceva questo. Per cui c'era questa cultura un po' dell'arrangiarsi. E allora, in linea di massima, la direttiva delle buche aveva diversi scopi: il primo era il divieto assoluto di arretrare, perché la grande critica del rastrellamento d'agosto era stata il rischio che ci trovassimo tutti a Capanne di Cosola e sul monte Antola e di farci imbottigliare come salami, tipo alla Benedicta. Ma, se potete, filtrate in pianura, dove quelli non vi cercano e dove anzi potete attaccare una retroguardia. In questa autonomia vale anche il fatto che Bianco si è portato 14 russi giù da Tortona non so bene dove, e che Roncoli si é portato i suoi a Stazzano. Ma anche questo fa parte della strategia: la cosa vietata è andare sul monte Antola, e poi ognuno si regola un po' come riesce. E in questo senso la guerra partigiana è proprio una guerra democratica, nel senso che ognuno prende le decisioni per il meglio, proprio perché noi a un certo momento non riusciamo a sapere più niente. Alla sera del quindici di dicembre si mandano le staffette ai distaccamenti dicendo: ordine di occultamento. Il che significa buche, ma significa anche cercare di filtrare.

D- Un’ultima domanda: quando a marzo si costituisce la divisione, i distaccamenti come partecipano a questo processo? Te lo chiedo perché abbiamo intervistato partigiani che cascano un po' dalle nuvole, cioè che non sanno a un certo punto di essere passati dalla Cichero a una nuova formazione.

Lazagna- Lì giocano anche fenomeni di non ricordo. Mentre hanno un ricordo fisico del distaccamento e del comandante di distaccamento, le cose sfumano ad altri livelli. Che cosa fossero esattamente i comandi io ho avuto difficoltà a spiegarlo a Carlini l'altro giorno per telefono! Quindi nei quadri più preparati questo non succede, ma nella base direi che non sanno bene chi è il comandante e perché è lì. Direi che il rapporto della brigata è più con i comandanti e i commissari di distaccamento che non colla base. Anche se poi ci sono casi particolari. Io per esempio quando dovevo andare in azione, strada facendo mi andavo prendendo quelli che mi piacevano: Cucciolo , il Nicolaj... Oppure andavi in distaccamento e dicevi: "C'è da andare a Cassano Spinola: chi vuol venire?". Si operava un po' così.
SCHEDA BIOGRAFICA DI GIOVANNI BATTISTA LAZAGNA

“Gibì” Lazagna era nato a Genova il 15 Dicembre 1923. Appena iscrittosi all’Università, nell’estate 1942, entrò in contatto con l'organizzazione clandestina dei Partito comunista (in particolare fu molto vicino a Giacomo Buranello e a Walter Filllak. All’Università di Genova fu tra i promotori di un gruppo antifascista che si proponeva azioni di propaganda e di lotta armata contro il fascismo. Nell'estate 1943 si iscrisse al partito comunista e dopo l’8 settembre lavorò alla costituzione della cellula universitaria, a iniziative di propaganda e alla diffusione dell'Unità clandestina.
La sua famiglia aveva una chiara connotazione antifascista: insieme al padre Umberto, liberale, che diventò nel corso della resistenza Capo di Stato maggiore della VI Zona ligure, tentò di raggiungere le forze alleate al Sud. Fallito l’avventuroso viaggio tornò a Genova, e nell'aprile 1944 salì in montagna ed entrò a far parte della Brigata Garibaldi insediata a Cichero: era il nucleo partigiano che doveva costituire il gruppo dirigente delle divisioni Cichero e Pinan-Cichero, note per il severo codice morale e per l’afflato unitario che le caratterizzava: molti dei comandanti della formazione garibaldina erano infatti cattolici e alcuni liberali.
La sua carriera partigiana fu rapida: divenne commissario politico del Distaccamento «Peter» comandato dal cattolico Aurelio Ferrando (Scrivia) e lavorò, nell’entroterra ligure, soprattutto all’organizzazione delle Sap. Il 16 luglio 1944, gravemente ferito a Terrarossa di Gattorna durante una imboscata contro un automezzo tedesco, dovette lasciare il Distaccamento, che raggiunse poi a Bobbio il 23 agosto. Trasferitosi con la formazione in Val Borbera, durante la battaglia di Pertuso, nonostante le difficoltà motorie conseguenti alla ferita, partecipò attivamente all’azione, impegnandosi soprattutto nell’organizzazione delle difese dei paesi sottoposti all’attacco e nella custodia dei prigionieri (che salvò letteralmente da un tentativo di linciaggio da parte della popolazione).
La coppia Lazagna-Ferrando, l’uno comunista l’altro cattolico, divenne un binomio quasi inscindibile, prima nella nuova brigata Oreste, che dopo Pertuso presidiò Val Borbera, e poi nella nuova divisione Pinan-Cichero, costituita nella primavera 1945, di cui divennero Comandante e Vice Comandante.
Nella Pinan-Cichero curò in modo particolare i rapporti con la popolazione civile nel periodo in cui le valli tra il novese e il tortonese vennero costituite in zone libere (Giunte comunali, riapertura delle scuole) e i problemi di strategia e tattica delle formazioni, sia da un punto di vista offensivo (battaglione mortai, servizi logistici, squadre di villaggio) che difensivo (piani di difesa, di ritirata, di occultamento, di aggiramento).
Il 25 aprile 1945 ricevette e controfirmò l'atto di resa della guarnigione tedesca di Tortona.

Nel dopoguerra lavorò per alcuni mesi all'edizione genovese de “L’Unità”. E’ di quell’epoca la stesura di Ponte Rotto, che divenne uno dei più noti volumi di memorialistica resistenziale. In realtà Ponte rotto non è solo un libro di memorie, ma anche un libro di storia scritto in forma romanzata, come dimostrano le accurate ricostruzioni su documentazione di prima mano su cui Lazagna basò il suo lavoro.
Segretario di sezione dei P.C.I. dal 1947 al 1951 e tra i dirigenti della Federazione comunista genovese fino al 1964, è stato segretario per la Liguria del Comitato di solidarietà democratica (1949-56), consigliere provinciale di Genova (1960-64), consigliere comunale di Novi Ligure (1966-71), svolse, come avvocato, una vasta attività di patrocinio in processi politici e sindacali.
Il suo nome balzò all’attenzione della stampa nazionale nel 1974, quando fu arrestato in connessione alla inchiesta sulle « Brigate Rosse » (vicenda oscura e complicata: ci sono documenti ufficiali e ormai pubblici dei servizi segreti che raccontano di una macchinazione ai danni di Lazagna – doveva essere ritrovato cadavere – ai tempi del rapimento Sossi). Nel carcere di Fossano conobbe Giovanni Pircher e scrisse Il caso del partigiano Pircher (La Pietra, 1975) contribuendo cosi alla sua liberazione.
Negli anni Novanta era ritornato all'attività politico-culturale in provincia di Alessandria, diventando l'animatore della sezione ANPI Val Borbera, distintasi subito per l'impegno nel promuovere, oltre alle manifestazioni celebrative, importanti moneti di riflessione e di dibattito sui temi della resistenza e dell'antifascismo.
Grazie al suo impegno la sezione ANPI Val Borbera fondò anche il "Centro di documentazione di Rocchetta Ligure", che in questi anni si è segnalato per l’organizzazione di importanti convegni storici e per la pubblicazione di una collana di studi storici.
Tra i volumi pubblicati dal "centro" bisogna ricordare gli atti del convegno (svoltosi nel settembre 200) Val Borbera 1943-1945. Cronache e testimonianze di libertà e di solidarietà internazionale, e L'intervista a "Minetto" comandante della brigata Arzani, che rappresenta l'ultimo lavoro saggistico di Lazagna. Negli altimi mesi della sua vita ha lavorato a un saggio su Aldo Gastaldi, Bisagno, rimasto incompiuto e inedito.
Il “Centro di documentazione” di Rocchetta Ligure è riuscito a raccogliere intorno a se in questi anni molti giovani, contribuendo a rilanciare la discussione, sempre libera, spregiudicata e aliena di retorica, sulla lotta partigiana e il dopoguerra.
Gibì lascia, dispersa in molti luoghi, una vasta documentazione della sua attività partigiana, politica, di avvocato, di studioso (ci sono anche molte interviste audio e alni video). L’auspicio è che questo materiale possa essere raccolto e conservato, sottraendo all’oblio e alla distruzione i segni della biografia di uno dei protagonisti della resistenza sull’appennino ligure-alessandrino.


L’ultimo scritto di Lazagna:
Il suo commento a proposito degli atti vandalici subiti dal Sacrario della Benedicta lo scorso autunno

Nel novembre 2002 ignoti hanno compiuto un atto vandalico al sacrario della Benedicta. Molti studiosi e partigiani hanno voluto inviare un testo di solidarietà e di riflessione al sito internet dell’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria (www.isral.it). Tra essi anche Giovanni Battista Lazagna: quel messaggio rappresenta il suo ultimo atto pubblico, che qui pubblichiamo.

Informato dell’oltraggio e della devastazione del Sacrario della Benedicta dedicato ai quattrocento partigiani fucilati o deportati il 6 aprile del 1944, Giambattista Lazagna, partigiano e presidente dell’ANPI Val Borbera “Pinan” ha dichiarato:
La notizia mi riempie di rabbia nei confronti dei teppisti che hanno consumato l’oltraggio da vigliacchi come erano nel 1944 e come sono oggi i loro figli e nipoti, operando in luogo deserto ed incustodito per ferire la memoria dei caduti e di tutta la popolazione di cui essi erano figli. La notizia tuttavia non mi sorprende perché innanzitutto è frutto di un clima creato negli ultimi anni da chi ha voluto rivalutare fascisti e nazisti per varie ragioni di ambizioni elettorali, di interessi economici di pennivendoli, e soprattutto di servilismo rampante.
Anche qui da noi, in Val Borbera, terra di zona libera partigiana, gli SS della casa dello studente di Genova, i seguaci dell’ergastolano colonnello Engel e i suoi giovani ammiratori, si sono dati appuntamento il 22 settembre scorso a Vigoponzo di Dernice per ricordare i 33 SS italiani, spie travestiti da partigiani e traditori che avevano giurato fedeltà ad Adolf Hitler, catturati e fucilati dai partigiani il 14 settembre. Il 14 settembre, un po’ dappertutto, messe, cerimonie, servizi giornalistici, ispirati ad una pietà di cui nessuno aveva sentito il bisogno per oltre cinquant’anni!
Facciano liberamente i loro riti, ma non osino ostentare la loro presenza come è stato fatto sparando sulla lapide di Pertuso che ricorda 108 caduti partigiani e valligiani . Abbiamo organizzato a Pertuso un presidio con appelli telefonici e verbali, e abbiamo radunato cinquanta persone attorno alla stele dei caduti e alla nostra bandiera.
Ma il presidio ideale e materiale al nostro territorio libero partigiano, rimane e sarà rafforzato.

Gibì Lazagna

 

 

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