Capitolo
V
Partigiani stranieri nelle formazioni combattenti nel basso alessandrino
Abbiamo
voluto indicare con il termine "Basso Alessandrino" la zona corrispondente
pressappoco al bacino d'utenza del nostro Istituto, una zona che
si estende a cavallo dell'Appennino ligure - piemontese, con montagne
anche aspre, percorsa da vallate che si restringono man mano che
si allontana dal fondovalle, in collegamento, attraverso passi
scoscesi e mulattiere, con la Liguria e, in un tratto dell'Alta
Val Borbera, anche con la Lombardia e l'Emilia. Nel fondovalle
si apre la pianura con i centri zona di Novi Ligure ed Ovada,
sino ad Acqui Terme.
All'epoca
della seconda guerra mondiale le zone montane non avevano ancora
subito la rarefazione demografica susseguente allo sviluppo industriale
del dopoguerra: erano abitate da popolazioni contadine, sovente
povere, che si dedicavano ai lavori agricoli e vivevano dei frutti
dell'economia appenninica, castagne, legna, un po' di frumento,
qualche vigna...
Dopo
l'8 settembre 1943 gli occupanti germanici compresero subito l'importanza
strategica della zona, che sovrasta importanti vie di comunicazione,
prima tra tutte la camionale Serravalle - Genova, anche perché
da tempo si stava diffondendo tra gli strateghi tedeschi il timore
di uno sbarco degli Alleati in Liguria. Pertanto il territorio
offrirà rifugio a numerose bande partigiane e sarà
teatro, negli anni 1944 e 1945, di numerosi scontri e di massicci
e sanguinosi rastrellamenti,
Molta
è la documentazione dell'attività delle formazioni
partigiane in questo settore, comprendente diari, documenti storici
e importanti ricerche.
Dopo
un quadro generale, che renda l'idea dei reparti resistenziali
e delle azioni belliche più importanti in questo
territorio,
ci siamo soffermati in particolare ad analizzare il contributo
che combattenti stranieri diedero alla causa della lotta al nazismo
e alla liberazione d'Italia anche nella nostra zona.
Nonostante
il territorio in questione faccia parte della Provincia di Alessandria,
le formazioni combattenti facevano parte della VI zona Liguria.
Alla sesta zona operativa ligure, infatti, facevano anche capo
ì territori di Ovada, Novi e Tortona appartenenti alla
provincia di Alessandria, e alcune parti delle province di Parma,
Piacenza e La Spezia e l'Oltrepò pavese Le principali formazioni
partigiane della VI Zona ligure che hanno operato in territorio
alessandrìno sono state la 4' DIVISIONE GARIBALDI PINANCICHERO,
comprendente la 58 ' Brigata Oreste, la Brigata Arzani, la Brigata
Po-Argo, la Brigata Val Lemme-Capurro, la 108' Brigata Paolo Rossi;
nel fondovalle operò la BRIGATA SAP NOVI LIGURE e nella
zona della Val Lemme e dell'Ovadese la DIVISIONE GARIBALDI MINGO,
comprendente la Brigata Buranello, la Brigata Pio, la Brigata
Olivieri, la Brigata Macchi e la Brigata Vecchia.
Dalla
cronologia abbiamo estrapolato i fatti più significati
riguardanti le formazìoni partigiane operanti nella nostra
zona:
1943
SECONDA
META DI SETTEMBRE: a Pian Castagna, per iniziativa di gruppi antifascisti
locali e di militanti del Partito comunista provenienti da Genova,
e a Dernice, intorno al tenente dell'aeronaufica Franco Anselmi
Marco, si costituiscono le prime bande partigiane della provincia.
INIZIO
OTTOBRE - INIZIO NOVEMBRE: si costituiscono i CLN di Ovada, Casale
Monferrato, Noví Ligure, Tortona.
2
DICEMBRE: partigiani della banda Merlo, costituitasi nel novese,
assaltano il forte di Gavi Ligure. Nell'azione vengono liberati
numerosi alti ufficiali inglesi prigionieri.
1944
INIZIO
GENNAIO: le tre bande attestate intorno al monte Tobbio (circa
40 uomini) si riuniscono e danno vita alla Il Brigata Garibaldi
Liguria, al cui comando viene nominato Edmondo Tosi. Al processo
di unificazione non partecipa la banda di Giuseppe Merlo, uno
studente che non intende aderire ad una formazione partigiana
ispirata dal Partito comunista.
13
GENNAIO: prima azione della 111 Liguria, sul monte Zuccaro. Nove
militari fascisti vengono catturati e passati per le armi dopo
essere stati processati.
FEBBRAIO
- MARZO: la 111 Liguria e la banda Merlo, anche in conseguenza
dei bandi Graziani, dilatano di molto i loro organici saliti rispettivamente
a 570 e 200. L'afflusso dei giovani renitenti mette in luce i
gravi problemi organizzativi e di annamento delle due formazioni.
MARZO:
numerose azioni di guerriglia della 111 Liguria nel settore compreso
tra Bosio, Gavi Ligure, Rossiglione e Masone. In particolare vengono
incendiati alcuni uffici di leva e passati per le armi esponenti
del fascismo repubblicano.
15
E 18 MARZO: i partigiani della III Liguria catturano e passano
per le armi i segretari delle sezioni del fascio repubblicano
di Tagliolo Monferrato e Casaleggio Boiro.
6-11
APRILE: rastrellamento ed eccidio della Benedicta. Nazisti e fascisti
circondano la zona dove sono attestate le formazioni di Tosi e
di Merlo. Fanno saltare la "Benedicta" un ex convento dove i partigiani
della 111 Liguria hanno insediato il loro comando e incendiano
numerose cascine. 147 partigiani e giovani renitenti vengono fucilati
nel giorno di Pasqua e nei giorni successivi. Altri 400 vengono
deportati (200 di loro riescono
a fuggire con l'aiuto della popolazione alla stazione di Sesto
San Giovanni).
8
APRILE: a Voltaggio i nazisti fucilano 8 partigiani catturati
nel corso del rastrellamento della "Benedicta" e ne avviano altri
40 verso i campi di concentramento.
11
APRILE: Voltaggio è ancora spettatori di un, nuovo eccidio
di uomini catturati alla "Benedicta": dopo quelli fucilati quattro
giorni prima, vengono giustiziati altri otto partigiani.
19
MAGGIO: al passo del Turchino i nazifascisti fucilano 44 partigiani
fatti prigionieri nelle settimane precedenti. Tra loro vi sono
alcuni partigiani catturati nel corso del rastrellamento della
"Benedicta": i due Comandanti della divisione Autonoma Alessandria
Giancarlo Odino, Italo, e Isidoro Pestarino, William, e il commissario
della 111 Liguria Rino Mandoli.
25
MAGGIO: rastrellamento di carabinieri e militi della GNR in val
Borbera contro la banda di Marco. Il rastrellamento fallisce e
i partigiani catturano sette militi.
FINE
MAGGIO - INIZIO GIUGNO: si ricostituiscono, in piccoli gruppi,
le formazioni attestate intorno al monte Tobbio e alla Benedicta
investite dal rastrellamento di Pasqua.
INIZIO
GIUGNO: alcuni comandanti della ex III Liguria costituiscono sulle
alture della valle Orba la brigata Garibaldi Buranello, forte
inizialmente di circa 40 uomini.
INIZIO
GIUGNO: i superstiti della formazione del capitano Odino, ucciso
nel rastrellamento di Pasqua, danno vita alla brigata Autonoma
Gian Carlo Odino, attiva nei dintorni di Voltaggio.
8
LUGLIO: grave bombardamento aereo su Novi Ligure. Colpita la stazione
ferroviaria e I' area antistante, lo scalo merci di San Bovo,
la stazione tranviaria. Danni gravissimi in tutta l'area di Porta
Pozzolo: sono distrutte molte abitazioni civili e si registrano
circa 100 morti.
INIZIO
AGOSTO: la banda di Franco Anselmi viene inquadrata nella divisione
garibaldina genovese Cichero. AGOSTO: si susseguono incessantemente
le azioni di guerriglia in tutta la provincia, dalla pianura alla
montagna. Gli stessi dirigenti fascisti segnalano con apprensione,
nei loro rapporti periodici, la crescente attività dei
ribelli nel corso dell'estate.
12
AGOSTO: viene paracadutata sull'Appennino ligure la prima missione
alleata con il compito di aiutare le operazioni militari delle
formazioni partigiane (ma anche di "sorvegliarle"). La missione,
denominata Walla Walla, rimane in territorio italiano per diciannove
settimane e sistema il proprio centro operativo a Carrega Ligure:
la presenza della missione consente alle formazioni attive in
VI Zona ligure di ricevere i primi lanci di armi e materiale logistico.
15
AGOSTO: arrivano in provincia reparti delle divisioni fasciste
San Marco e Monte Rosa destinate all'attività antipartigiana
e ai rastrellamenti. Con
l'arrivo delle nuove truppe i fascisti e i nazisti possono contare
in provincia su un organico di circa 10. 000 uomini.
22
AGOSTO: inizia il rastrellamento in val Borbera. Un plotone di
30 fascisti è respinto alle gole di Pertuso.
24
AGOSTO: Seconda puntata nazifascista in val Borbera, fronteggiata
da una sessantina di uomini agli ordini di Franco Anselmi.
25
AGOSTO: nuovo assalto della banda Merlo al forte di Gavi Ligure
e liberazione di numerosi partigiani e militari alleati prigionieri.
25-27
AGOSTO: battaglia di Pertuso. Dal versante ligure giungono a dar
man forte al gruppo di Anselmi gli uomini del distaccamento Peter
della divisione Chichero una trentina di partigiani comandati
dal novese Aurelio Ferrando, Scrivia 1 partigiani, aiutati dalle
popolazioni locali armate di fucili da caccia, e sostenuti dalle
donne della val Borbera che svolgono un prezioso lavoro
di sussistenza, resistono due giorni ma alla fine devono ritirarsi.
INIZIO
SETTEMBRE: gli uomini di Franco Anselmi e del distaccamento Peter
riprendono le loro posizioni in val Borbera e in val Curone.
12
SETTEMBRE: la brigata Buranello sì trasforma in divisione.
In un primo tempo assume il nome di divisione Doría e,
dopo breve tempo, quello definitivo di Mingo, La comanda Gregorio
Cupic, Boro, mentre Oscar Barillari, Ruggero, è il commissario
politico.
22
SETTEMBRE: 1 fascisti fucilano al poligono del Martinetto di Torino
Oreste Armano, partigiano della Cichero catturato nelle settimane
precedenti in Val Borbera. Al suo ricordo i partigiani della VI
Zona ligure intitolano una brigata la Oreste.
23
SETTEMBRE: i gruppi partigiani attivi nelle valli Borbera e Curone
e gli uomini del distaccamento Peter vengono inquadrati nella
brigata Garibaldi Oreste. Comandante è il cattolico Aurelio
Ferrando, commissario il comunista Otello Pascoliní, Moro.
All'inizio di ottobre la brigata conta circa 300 effettivi.
SETTEMBRE
- OTTOBRE: i partigiani della Oreste promuovono la costituzione
di giunte comunali nei paesi della Val Borbera e della Val Curone
liberatí dai nazifascisti. Nelle due vallate vengono attivati
anche due ospedali partigiani e un campo prigionieri.
SETTEMBRE
- OTTOBRE: gli uomini della Oreste compiono incursioni quasi giornaliere
sulla camionale Serravalle-Genova, arteria di grande importanza
strategica tra il mare e la pianura Padana. 1 collegamenti logistici
delle forze naziste subiscono difficoltà rilevanti.
11
OTTOBRE: i nazisti tentano con una pattuglia di 120 uomini di
penetrare in val Borbera ma vengono rapidamente respinti.
12
OTTOBRE: rastrellamento nazifascista nella zona di Ponzone, Cimaferle
e Piancastagna nel corso del quale
viene ucciso il comandante partigiano Domenico Lanza, della divisione
Garibaldi Mingo.
26
OTTOBRE: in seguito al consistente aumento dell'organico della
brigata Oreste, i comandi partigiani decidono la costituzione
di una nuova brigata, la Arzani, che conta circa 250 effettivi
e svolge la propria attività principalmente in val Curone.
27
OTTOBRE: attacco in forze delle Brigate Nere contro il battaglione
Po della neonata brigata Arzani a S. Sebastiano Curone. 1 partigiani
accettano il combattimento e respingono gli assalitori.
4
NOVEMBRE: il distaccamento Vestone della divisione fascista Monte
Rosa, forte di 200 alpini, diserta e passa al completo nella brigata
Oreste. Molti tra i nuovi partigiani, quasi tutti originari del
bresciano, restano uniti e conservano, provocatoriamente, per
il loro nuovo distaccamento il nome Vestone.
23
NOVEMBRE: inizia nel piacentino il grande rastrellamento che ha
per obiettivo l'annientamento delle forze partigiane dislocate
sull'Appennino piacentino, genovese ed alessandrino.
2-5
DICEMBRE: rastrellamento in val Lemme e nella zona tra Cassinelle
e Bandita. 1 partigiani della Mingo si ritirano senza perdite.
8
DICEMBRE: attacco della Oreste lungo la camionale Serravalle-Genova
per disturbare i rifornimenti logistici alle truppe in rastrellamento.
11
DICEMBRE: i partigiani dell'Oreste distruggono il ponte di Varinella
per impedire l'accesso alla val Borbera attraverso la direttrice
di Roccaforte.
13
DICEMBRE: i nazisti catturano Paolo Rossi il comandante della
108 a brigata Garibaldi, che da lui prenderà il nome. Rinchiuso
nel castello di Piovera, viene seviziato ed ucciso il 15 dicembre.
14
DICEMBRE: inizio del rastrellamento in val Borbera e in val Curone.
In vari punti i partigiani dell'Oreste e dell'Arzani ingaggiano
scontri
a fuoco con i nazifascisti. Ben presto però devono sganciarsi
di fronte ad un attacco condotto con forze e mezzi ingenti. Molti
partigiani si rifugiano in buche appositamente scavate nel terreno
e rifornite di acqua e cibo; altri cercano di raggiungere
le vette più alte dell'Antola e del Carmo. I partigiani
originari del tortonese e del novese riescono invece a passare
tra le maglie del rastrellamento e trovano rifugio a valle.
15
DICEMBRE: gli attaccanti entrano in val Borbera quando i partigiani
sono ormai riusciti a sganciarsi. I
rastrellatori, tra i quali sono presenti numerosi reparti della
Turkestan, divisione formata da soldati di origine russo-asiatica
(i cosiddetti "mongoli"), sfogano la loro rabbia contro i civili:
saccheggi, incendi, stupri collettivi di donne giovani e anziane
sono per giorni la tragica realtà di tutte le borgate dell'alta
val Borbera.
15
DICEMBRE: in val Borbera i nazisti scoprono una "buca" in cui
sono rifugiati sei partigiani. Dopo aver ucciso il loro comandante,
Giuseppe Salvarezza, Pinan, catturano gli altri partigiani e li
costringono a seguirli portando gli zaini delle munizioni a piedi
scalzi per 6 giorni, finché nella notte del 21 dicembre
li uccidono nei pressi di Casella, in provincia di Genova.
22
DICEMBRE: a Volpara una pattuglia tedesca in rastrellamento scopre
un gruppo di partigiani. Nello scontro viene ucciso il partigiano
sedicenne Aureliano Galeazzo, Michel.
24
DICEMBRE: 1 fascisti fucilano il partigiano Osvaldo Capurro, della
brigata Val Lemme, che da lui prenderà il nome.
28
DICEMBRE: attacco in forze contro la divisione garibaldina Viganò
in tutto il territorio tra Ovada e Acqui; l'operazione si protrae
per tre giorni, ma i risultati sono anche in questo caso assai
modesti: vengono catturati soltanto due partigiani, Paolo Bocca,
Barbablù, e il partigiano sovietico Alexander,
che sono fucilati il 30 dicembre a Novi Ligure.
28
DICEMBRE: mitragliamento aereo della littorina ferroviaria NoviFrugarolo,
con morti e feriti.
28
DICEMBRE: i nazifascisti in rastrellamento in val Borbera sorprendono
alcuni partigiani della brigata Oreste in ripiegamento. Nello
scontro restano uccisi tre partigiani: Angelo Cecchinelli, Gaetano
Colombo e Giovanni Taddeo.
29-30
DICEMBRE: nuovo tentativo di rastrellamento nella zona controllata
dalla Mingo, condotto in forze da un migliaio di marò della
San Marco. Anche questa volta i partigiani riescono a sganciarsi
senza subire perdite.
31
DICEMBRE: ennesimo bombardamento sulla città di Novi Ligure:
colpite pesantemente via Roma e via Cavour, gravi danni alle abitazioni
civili e numerose vittime.
1945
15
GENNAIO: due nuove missioni alleate si lanciano con i paracadute
sull'Appennino ligure alessandrino e stabiliscono il loro comando
e centro operativo a Carrega Ligure. La prima, inglese, è
comandata dal colonnello Mac Mullen e ha fra i propri componenti
lo storico Basil Davidson; la seconda, americana, è comandata
dal maggiore di origine italiana Leslie Vannoncini, noto come
maggiore Van.
20
GENNAIO: i nazifascisti circondano Bosio, dove è dislocato
un gruppo di partigiani della banda Merlo. Nello scontro a fuoco
cadono un partigiano e un soldato tedesco. Immediata rappresaglia
nazista: incendio e saccheggio di molte case ed uccisione di un
civile.
21-29
GENNAIO: riprende il rastrellamento in val Borbera, con quotidiane
puntate nei paesi e nei borghi delle valli Borbera e Curone. Il
tentativo di disperdere le forze partigiane delle brigate Arzani
e Oreste, in via di riorganizzazione dopo il rastrellamento di
Natale, non ha però esito.
25
GENNAIO: in seguito a crudeli torture, muore alla Casa dello Studente
di Genova dove era stato rinchiuso il dirigente comunista serravallese
Roberto Berthoud. Nel corso dei mesi precedenti il suo laboratorio
di calzoleria era diventato un rifugio sicuro per le formazioni
partigiane del novese e un punto di riferimento per tutti i giovani
che volevano raggiungere le formazioni di montagna.
2
FEBBRAIO: battaglia di Cantalupo. Un battaglione mongolo della
Turkestan viene attaccato mentre cerca di raggiungere Carrega,
sede dei comando della VI Zona ligure e delle missioni americana
e inglese. 1 partigiani della Oreste, riorganizzatosi in poche
settimane, sorprendono la colonna nei pressi di Cantalupo Ligure
e dopo una battaglia di alcune ore catturano decine di prigionieri
e si impossessano di un ingente quantitativo di armi. Nel corso
della battagli cade il partigiano russo Fjodor Poletaév.
6-7
FEBBRAIO: nuova massiccia puntata nazifascista in val Borbera.
Il rastrellamento, che vede impiegati circa 1.500 uomini, ha ancora
una volta esito negativo. A dimostrazione dello sfaldamento che
ormai percorre le fila fasciste, 50 bersaglieri della Littorio
si arrendono senza combattere ai partigiani della Oreste.
11
FEBBRAIO: riprende "ufficialmente'' dopo le difficoltà
successive al rastrellamento invernale e l'impegno per impedire
altre puntate nazifasciste nelle valli Borbera e Curone, l'attività
di sabotaggio dei partigiani delle brigate Oreste e Arzani sulla
camionale Genova - Serravalle e sulle altre arterie di grande
traffico del sud della provincia. Da quel momento gli attacchi
a pattuglie e colonne nemiche diventano quotidiani. In un loro
comunicato le due brigate garibaldine dichiarano di aver effettuato,
nel solo periodo compreso tra l'1 1 febbraio e la fine del mese,
34 azioni di guerra, causando al nemico 27 morti e 23 feriti;
di aver catturato 15 prigionieri;
di aver affondato un traghetto sul Po e causato 3 interruzioni
ferroviarie.
INIZIO
MARZO: in molti paesi delle valli Curone e Borbera vengono ricostituite
le Giunte comunali che restano attive sino al momento della Liberazione
e nelle settimane successive.
8
MARZO: viene costituita la divisione Garibaldi Pinan-Cichero.
L'intensificarsi
dell'attività militare ad opera delle brigate Oreste ed
Arzani, i cui organici sono rapidamente aumentati dopo il rastrellamento
di Natale, induce il comando della VI Zona ligure a formare la
nuova divisione che inquadra, oltre alle due brigate principali,
il battaglione Po, nato da una costola dell'Arzani, e la 108 a
brigata di pianura Paolo Rossi. Comandante della nuova divisione
è Aurelio Ferrando, Scrivia, vice comandante Giovanni Battista
Lazagna, Carlo, commissario Anelito Barontini, Rolando, vice commissario
Mario Franzone, Ugo.
13
MARZO: battaglia di Garbagna. Ennesimo tentativo di attacco contro
la Pinan-Cichero, ma il rastrellamento si rivela subito fallimentare:
i partigiani passano al contrattacco e i nazifascisti dopo appena
mezz'ora di combattimento chiedono di trattare la resa. Sei morti
e oltre 120 prigionieri è il bilancio per i rastrellatori.
Un solo morto, il comandante Aldo Ravetta, Argo, tra i partigiani.
Il battaglione Po, a cui Ravetta apparteneva, viene costituito
nei giorni seguenti in brigata e assume il nome di Po-Argo. Da
questa data, nonostante i disperatitentativi di nazisti e fascisti,
le valliCurone e Borbera sono di fatto e definitivamente libere.
7
APRILE: partigiani della Mingo e della Viganò compiono
un'azione congiunta nel pieno centro di Ovada, penetrano nella
locale caserma della Gnr e catturano 11 militi
11
APRILE: ultimo massiccio tentativo nazifascista di penetrare nelle
valli controllate dalla Pinan-Cichero. Dopo un duro combattimento
sulle alture tra Sant'Alosio e Costa Vescovado.
24
APRILE: prima fra le formazioni alessandrine, la Pinan-Cichero
inizia le operazioni insurrezionali. L'Oreste inizia la marcia
verso Genova liberando le località di Arquata, Serravalle,
Cassano, Villalvernia, Pietrabissara, Ronco Scrivia e Busalla.
1 partigiani della brigata Pio della divisione Mingo ottengono
la resa del presidio di Voltaggio.
26
APRILE: i partigiani della PinanCichero occupano Novì Ligure.
Con la presa dì possesso del Palazzo comunale da parte
del CLN della città, Acqui Terme è libera.
27
APRILE: nel novese cade l'ultimo presidio tedesco di Vignole Borbera.(
tratto da "I venti mesi nell'alessandrino. Una proposta di cronologia
"a cura di Roberto Botta). Numerose
sono le testimonianze della presenza e del contributo rilevante
di partigiani stranieri nelle formazioni operanti nella nostra
zona. Secondo la testimonianza di " Carlo" (G. B. Lazagna ) gli
stranieri che combatterono a fianco dei resistenti italiani nella
VI zona figure furono circa una sessantina. In talunì casi
furono proprio dei prigionieri di guerra evasi a fornire il nucleo
principale per la costituzione delle prime bande sull'Appennino.
NASCONO
LE BANDE SULL' APPENNINO. LA BANDA DI VOLTAGGIO
"Sull'
Appennino, i genovesi trovarono numerosi ex prigionieri stranieri,
australiani, russi, canadesi, inglesi, sudafricani, jugoslavi,
fuggiti dai campi di concentramento dei Giovi, di Calvari nella
valle Fontanabuona, dal forte di Gavi. Come è rilevabile
da alcune testimonìanze, questi soldati erano all'inizio
abbastanza restii all'idea di costituire delle bande armate ed
organizzate, disponendosi su una linea di chiaro attesismo. Ma
dall'incontro di alcuni
di questi, soprattutto russi e jugoslavi, con soldati sbandati
italiani, contribuendo spesso in misura determinante all'efficienza
tattica e alla formazione politica e militare dei loro compagni,
nacquero le prime due bande sull'Appermino.
Questa
intemazionalizzazione accomunata ad una matrice politica assumerà,
per certi aspetti, dei risvolti paradossali : agli ex prigionieri
scappati con l'8 settembre, che gli eventi vedranno come tra i
più intrepidi combattenti per la Resistenza, si
affiancarono
ufficiali italiani che, prima in Russia o nei Balcani o in Francia
avevano combattuto ì partigiani e acquisito così
familiarità con le tattiche della guerra per bande. Una
prima formazione vide la luce a Pian Castagna, fra la val d'Erro
e l'alta val d'Orfeo composta da nove prigionieri di guerra evasi
dal campo dei Giovi e da tre italiani. Un secondo gruppo si era
attestato sulle falde del monte Porale, ad est della val Lemme,
composto da undici uomini, di cui otto russi, uno jugoslavo, due
italiani: Tommaso Merlo (Puny), alpino ventitreenne e Giuseppe
Merlo, studente di medicina, originario di Bosio e già
sottotenente di complemento degli alpini. In un primo momento
questi gruppi furono avvicinati e coordinati dall'ingegner Agostini,
per poi essere raggiunti, verso la fine di settembre da due studenti
genovesi, inviati dal P.C.I. per assumere il controllo politico
e militare: Walter Fillak (Gennaio poi Martiri), che sarà
uno degli eroi della resistenza, già arrestato nel 1942
per attività sovversiva e Giacomo Buranello. Quest'ultimo
sarebbe diventato nel giro di pochi mesi una delle figure più
ricordate nella storia della III^ brigata Liguria e della divisione
MIngo: prima del servìzio militare, costituì un
movimento comunista di operai e studenti, organizzò il
soccorso rosso e mise in opera una tipografia clandestina, continuando,
dopo il 1942, una volta arruolatosi nel corso allievi ufficiali,
la sua
attività all'interno dell'esercito. Da subito, apparvero
difficili i rapporti con la formazione di Merlo, che si era autodefinita
"Banda di Voltaggio", a causa della refrattarietà dei suoi
componenti ad un qualsiasi tentativo di inquadramento politico:
Merlo stesso era propenso alla creazione di una formazione di
impostazione esclusivamente militare. Acuì ulteriormente
la frattura all'interno della banda (che stazionava all'Albergo
Grande, una cascina utilizzata in passato come essicatoio per
le castagne) l'arrivo di nuovi componenti, per la maggior parte
militanti comunisti inviati in montagna dalla federazione genovese.
"Tra
i nuovi arrivati vi fu anche il commissario politico ... e per
merito suo le discussioni politiche furono anteposte all'addestramento
militare sicché non fu cosa difficile il prevedere che
per l'incompatibilità politica la formazione si sarebbe
presto scissa".
Questa
divisione tra militari e politici si rispecchiava anche nella
quotidianità dei comportamenti: mentre Puny e Merlo scendevano
abitualmente alle loro abitazioni, i genovesi stavano rigorosamente
sul posto, impegnandosi in lunghe discussioni politiche e non
nascondendo l'intenzione di dare una precisa fisionomia di partito
alla banda. Neppure l'arrivo del nuovo commissario politico, un
operaio dell'Ansaldo (Mori), venuto a sostituire G.B. Canepa (Marzo),
riuscì ad a migliorare la situazione e ad amalgamare le
due correnti presenti nella formazione."
".
... sull'Appennino dopo 1,8 settembre ... avevano trovato rifugio
numerosi gruppi di militari italiani e di ex - prigionieri di
guerra. 1 primi venivano dai centri dell'Alessandrino meridionale
e, dopo qualche giorno di permanenza in montagna, quasi tutti
avevano preferito andarsene per tentare il ritorno a casa o per
dirigersi verso il Cuneese dove sembrava che ì reparti
della Il armata si preparassero a combattere ì Tedeschi.
Gli stranieri, invece, erano rimasti tra i monti tra lo Stura
e lo Scrivia. Erano russi, jugoslavi, sud - africani, australiani
e qualche inglese, fuggiti dal campo di concentramento dei Giovi,
da quello di Calvari nella valle di Fontanabuona, e dal forte
di Gavi, lasciati incustoditi all'annuncio dell'annistizio. Vivevano
in gruppetti isolati, grazie all'aiuto delle popolazioni dei due
versanti. Dall'incontro tra i soldati italiani sbandati e i prigionieri
stranieri nacquero, a metà settembre, le prime due bande
dell'Appennino alessandrino. Il primo nucleo si formò a
Pian Castagna, un piccolo paese montano tra l'alta val d'Erro
e l'alta val d'Orba. Era costituito da nove prigionieri evasi
dal campo dei Giovi e da tre militari italiani, uno dei quali
tenente dell'esercito. Verso il 20 settembre Agostini si recò
a Pian Castagna e prese contatto con questo gruppo e con il parroco
del paese, don Paolo Boido, che aveva offerto i primi aiuti agli
sbandati. Qualche giorno dopo giunsero nel settore due studenti
comunisti genovesi, Walter Fillak ( Gennaio), di 23 anni, e Giacomo
Buranello, di 22, inviati dal loro partito ad assumere il comando
e il controllo del nucleo.
Meno
rapido fu invece il collegamento con la seconda banda, nata verso
la metà di settembre sulle falde del monte Porale, ad est
della val Lemme. Era formata da otto russi e uno jugoslavo fuggiti
da Ronco Scrívia, e da due italiani del posto: Tommaso
Merlo ( Puni), un manovale di Voltaggio di 23 anni, già
alpino, e lo studente di medicina Giuseppe Merlo di 22 anni, proveniente
da Bosio.
Quest'ultimo,
sottotenente di complemento degli alpini, era in pratica il capo
del gruppo. Gli undici uomini armati di pochi fucili modello 1891
e di una pistola, con scarse munizioni mancavano di tutto. Avevano
bisogno specialmente di viveri e di denaro, ma la zona, ricca
soltanto di castagne e funghi e abitata da montanari poveri, non
offriva molte risorse. 1 due italiani si collegarono con un liberale
genovese, l'ingegnere
Mario Albini ( Giorgi), sfollato a Voltaggio. Con l'aiuto di antifascisti
del paese e di gente di Bosio e di Gavi, Albini procurò
alla banda qualche rifornimento e qualche arma e la mise in contatto
con i primi nuclei di resistenza genovesi." (In Giampaolo PANSA,
Guerra partigiana tra Genova e il PO: la Resistenza in provincia
di Alessandria, Bari, Laterza, 1967 IL DISTACCAMENTO PETER Se
il contributo, anche di esperienza militare nella guerriglia,
di prigionieri stranieri evasi fu decisivo per la costituzione
delle prime bande nell'Appennino, non va dimenticata la partecipazione
alla resistenza nelle nostre vallate di uomini provenienti dallc
nazionalità più svariate, che giunsero a dare la
vita perché sentivano che la lotta per la liberazione dell'Italia
era la lotta per la liberazione di tutti i popoli oppressi e schiavi
della tirannide hitleriana. E' il caso di "Giuseppe", un polacco
di cui ci dà testimonianza il comandante "Carlo":
"Il
CLN regionale Liguria aveva approvato per noi la denominazione
di Terza Brigata Garibaldina di assalto.
Queste
notizie furono da noi lungamente commentate, perché erano
il preannuncio di una riorganizzazione completa.
I
nuovi arrivati mandati da Bisagno erano: un cecoslovacco alto
e biondo e due giovani operai genovesi.
Mentre
tutti noi interrogavamo i due genovesi su quanto accadeva a Genova,
sui preparativi che i tedeschi facevano a Genova per distruggere
il porto e le opere pubbliche, a causa della rapida avanzata alleata,
il cecoslovacco si era messo a parlare in tedesco con Giuseppe,
un nostro polacco.
Giuseppe
era un ragazzo biondo, magro, con i lineamenti femminili, coraggioso,
ma molto suscettibile. Gli scherzi più innocenti lo irritavano
terribilmente, tanto che tutti noi avevamo rinunciato a scherzare
con lui. Nonostante questo, ci era molto simpatico, per il modo
scrupoloso con cui attuava i servizi di guardia
e di pattuglia e per il coraggio che dimostrava nelle azioni.
Quando
ebbe finito il suo discorso col cecoslovacco, chiesi a Giuseppe
chi fosse il suo interlocutore. Giuseppe mi spiegò che
era disertore dell'esercito tedesco e gli sembrava un ottimo elemento.
Poi
aggiunse che avevano progettato insieme di andare a far disertare
altri polacchi e cechi incorporati nell'esercito tedesco.
Chiamai
Scrivia e gli esposi il progetto di Giuseppe, ma Scrivia, come
me, non era molto entusiasta dell'impresa. Nondimeno Giuseppe
era deciso; e noi, ben sapendo che quando si era fisso in capo
qualcosa nulla poteva smuoverlo, lo lasciammo partire dopo avergli
raccomandato molta prudenza.
Dopo
tre ore dalla partenza di Giuseppe col cecoslovacco, arrivò
al casone un giovane contadino e ci disse che un partigiano era
morto. Gli domandammo ansiosi che cosa fosse successo, mentre
alcuni andavano a prendere le loro armi per prepararsi a combattere.
"Mi
trovavo su una collina con le pecore, - disse, - e vidi due partigiani
che scendevano. Si diressero verso una capanna, uno bussò
alla porta e subito uscirono dei tedeschi con le maschinpistole
puntate. Giuseppe prese la sua pistola, ma non ha fatto in tempo
a sparare che gli hanno sparato una raffica. Egli è caduto
e gli altri si sono subito allontanati assieme, portando Giuseppe
morto".
Il
giovane contadino si incamminò, mentre gli raccomandavamo
di informarsi nei paesi se Giuseppe era morto.
"Se
fosse solo ferito, - disse Tigre, potremmo tentare di liberarlo!"
Con
Scrivia intanto ci consultammo sul da farsi. Era evidente che
il cecoslovacco era una spia, e probabilmente non era neppure
cecoslovacco, ma tedesco. Ormai i nemici sapevano con precisione
dove eravamo, e perciò era urgente cambiare posto. Dato
che non era accaduto nulla dopo
la partenza dei tre marinai, pensammo che il posto dove eravamo
prima, vicino a Teruzzo, offrisse sufficienti garanzie, tanto
più che vi erano i rifugi già pronti.
Appena
si fece buio ci spostammo ed arrivammo al nostro vecchio casone.
Verso
mezzogiorno sentimmo degli spari di mitragliatrice e di bombe
a mano. Ci alzammo tutti e rinforzammo le guardie, mandando due
pattuglie nel bosco in direzione degli spari. Poi tutto tacque
e l'indomani i contadini ci riferirono che circa cinquecento tedeschi
erano venuti ed avevano circondato il casone. Dopo aver sparato,
visto che nessuno usciva si erano avvicinati, l'avevano incendiato
ed erano tornati indietro a mani vuote.
Nella
serata i membri del comitato di Uscio ci mandarono ad avvisare
che Giuseppe era morto. La notizia ci lasciò molto tristi,
benché vi fossimo preparati Alla riunione serale decidemmo
di dare ai nostro distaccamento il nome di Peter, vero nome di
Giuseppe, primo della lunga serie dei caduti del nostro distaccamento."(
da Giovanni Battista LAZAGNA, Ponte rotto. Storia della divisione
garibaldina Pinan - Cichero. Genova, Edizioni de "11 Partigiano",
1946)
PARTIGIANI
STRANIERI CADUTI
"Giuseppe"
Peter non fu purtroppo l'unico partigiano straniero caduto tra
i combattenti delle formazioni della VI zona Liguria operanti
sull'Appennino alessandrino. Possiamo a buon diritto affermare
che in quasi tutti gli episodi significativi della resistenza
e della lotta di liberazione svoltisi nel nostro territorio non
mancò il contributo di sangue di partigiani provenienti
dai luoghi più lontani, uniti dal comune ideale di libertà.
Anche
nel tragico rastrellamento della "Benedicta" ( 6 - 11 aprile 1944)
ricordiamo tra i caduti tre combattenti stranieri : Silburn Bruce,
proveniente dal Sudafrica e due martiri ignoti, uno di nazionalità
inglese ed uno proveniente dall'Unione Sovietica.
Così
nell'episodio che costò la vita al partigiano 64 Pinan",
Giuseppe Salvarezza, una delle venti medaglie d'oro della Resistenza
alessandrina, si mescolò al sangue dei caduti italiani
quello di tre caduti di nazionalità russa, fucilati il
21 dicembre 1944:
"Un
gruppo del Franchi si era nascosto in un rifugio presso Rovello:
non c'era posto per tutti e il comandante del distaccamento, Giuseppe
Salvarezza ( Pinan), aveva voluto sistemarsi fuori con un russo,
in una capanna. All'alba i garibaldini vennero sorpresi da una
pattuglia tedesca. Pinan, un contadino di 20 anni, reagì
e cadde combattendo. Il russo e altri cinque partigiani che si
trovavano nella buca vennero catturati. Privati delle scarpe e
costretti a portare pesanti zaini pieni di munizioni, i "ribelli"
dovettero seguire per sei giorni le squadre germaniche che rastrellavano
la montagna, finché furono uccisi nella notte del 21 dicembre,
presso Casella: si chiamavano Aldo Ravino Fieramosca),
Alberto Pugno ( Bertin), Marsiglio Limoni ( Guscio), Affanassi
Garsow ( Affanassi), Ivan Goctidow ( Pajarski) e Stefan Nikivic
(Stifan)." ( G.P. Pansa - Guerra partigiana tra Genova e il Po
- Laterza pg.311 - 312)"
LA
BIRS
Dopo
il rastrellamento della Benedicta i partigiani ricomparvero presto
nella zona intorno al monte Tobbio, benché rastrellata
accuratamente in aprile. Tra la Val Lemme e la Val d'Orba, proprio
quella fascia che la GNR aveva giudicata epurata, vide, tra maggio
e giugno, il ricostituirsi di piccole formazioni isolate, di dieci
- quindici uomini ciascuna, poco armate e militarmente inattive.
Mentre Giuseppe Merlo e Renato Repetto, scampati all'eccidio,
ponevano le basi per una nuova formazione autonoma tra Bosio e
Parodi Ligure, a Palazzo, sul Bric dell'Arpescella, si unirono
sette uomini, tutti ex componenti della III Brigata Liguria: fra
questi vi erano Gregorio Cupic, Oscar Barillari, Saverio de Palo
(Macchi),
Alfonso Viganò (Lux) e Franco Gonzatti.
Contemporaneamente,
nella zona centrale del massiccio, due nuclei di sbandati italiani
e sovietici diedero vita ad una formazione conosciuta come BIRS:
Banda italo-russa di sabotaggio, comandata dal sovietico Griska
e dal ligure Alessio Franzone (Arrigo), già collaboratore
della Brigata Liguria. Proprio quest'ultimo, in un suo celebre
scritto, ne riporta l'atto di costituzione:
"Il
giorno 8 maggio 1944 è stato deciso fra alcuni russi, ex
prigionieri di guerra ed alcuni Italiani, di costituire una banda
per azioni di sabotaggio con la denominazione:
B.I.R.S.
e cioè - Banda Italo - Russa di Sabotaggio. La banda dovrà
essere composta di un massimo di 45 uomini e ciò per dare,
ai componenti di essa, modo di poter facilmente rifornirsi di
armi, esplosivi e viveri, ed anche per poter meglio occultarsi
in una zona che è già stata provata da un forte
rastrellamento e, tuttora tenuta sotto sorveglianza.
La
banda ha già forma concreta ed attiva ed intende senz'altro
iniziare la sua opera. Per conseguire tale fine intende tenersi
in stretto contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale.
In quanto agli obiettivi da colpire la banda si atterrà
agli ordini del Comitato ed agirà di sua iniziativa quando
ciò si renderà necessario o lo si crederà
opportuno.
Come
già detto la Banda si compone di ex prigionieri russi e
di italiani. Questi ultimi, sono persone provate, che hanno cioè
appartenuto a bande di patrioti o che hanno avuto rapporti con
esse, ricercati per motivi politici, disertori o renitenti alla
chiamata della repubblica di Salò.
I
componenti della Banda vivono isolatamente ed a gruppi di pochi
individui; ma sono in costante comunicazione fra loro in modo
da trovarsi nel più breve spazio di tempo tutti riuniti
allorché ve ne sia bisogno.
Gli
obiettivi che la banda si ripromette di colpire sono costituiti
principalmente da: ferrovie e treni, strade e ponti, linee telefoniche
e telegrafiche,...
Lo
scopo che la banda si prefigge è di portare il suo modesto
contributo alla disfatta degli invasori. Questo è l'unico
fine per cui i componenti della B.I.R.S. agiscono al disopra di
ogni opportunismo presente e futuro."
Appare
evidente, così come testimonia il documento formativo della
BIRS, quanto la fase di riorganizzazione abbia tenuto conto degli
errori antecedenti l'esperienza negativa del rastrellamento; da
ciò la consapevolezza di una necessaria fluidità
nella struttura delle formazioni, rapidità delle azioni,
velocità, capacità di spostamento, massima possibilità
di comunicazione tra i gruppi, squadre ridottissime.
IL
COMANDANTE BORO
Gregorio
Cupic ( Boro) proveniva dall'esercito regolare iugoslavo, dove
operò come sottufficiale radiotelegrafista fino a quando
non fu arrestato e condannato per attività antifascista
ed imprigionato nelle carceri di Fossano (Cuneo), da cui riuscì
a fuggire nel settembre del 1943.
Prima
commissario politico del terzo distaccamento della Brigata Buranello,
divenne poi Vicecomandante della Divisione Doria.
Quando
nacque, dalla fusione della Divisione Garibaldi Doria con le formazioni
minori della zona, la Il Divisione Unificata Ligure Alessandrina,
Gregorio Cupic ne fu il vicecomandante, La Divisione Ligure Alessandrina
incorporava:
la
Brigata Buranello, comandante Cesare Dattilo, commissario Clemente
Delfino (Bruno); 150 uomini dislocati nella zona di Urbe ( con
i distaccamenti presso le zone montane di Acquabuona, Acquabianca,
Vara Superiore e Vara Inferiore);
la
Brigata A.Mazzarello, comandante Piero Martini, commissario Alessio
Franzone, 70 uomini frazionati attorno al
Tobbio; la Brigata di manovra Michele Bonaria, dislocata nel settore
Moretti-Pían Castagna, nata dal Gruppo celere autonomo,
piccola banda costituita nell'alto savonese da Domenico Lanza
(Mingo), capitano di complemento degli alpini, incrementato dall'arrivo
in formazione negli ultimi giorni di settembre di un grosso reparto
di disertori della Divisione fascìsta San Marco; la
Brigata Matteotti Val Bormida, dislocata a san Luca di Molare.
Alla
fine di settembre la Divisione era in piena fase organizzativa.
L'andamento favorevole delle operazioni militari alleate degli
ultimi due mesi diffondevano un clima di generale ottimismo. Perciò
nessuno pensava all'eventualità di un rastrellamento, così
che i movimenti di truppe tedesche che si cominciavano a notare
nell'ovadese venivano interpretate come i primi segni di una probabile
ed imminente ritirata germanica.
Il
7 ottobre, alle cinque di mattina, la formazione GL di Luciano,
confinante con quella garibaldina, venne attaccata con forza a
Bandita di Cassinelle, con numerose perdite sia tra i civili che
tra i partigiani. La Divisione LigureAlessandrina non poté
fare altro che apprestarsi a sostenere l'eventualità di
un combattimento. Il comandante Doria, contro i suggerimenti del
commissario politico e con il disappunto dello stesso capo di
stato maggiore, decise arditamente di richiamare nella zona di
Olbicella tutte le formazioni, anche quelle dislocate in zone
molto distanti, per un totale di circa trecento uomini. Anche
la Brigata Buranello, che si era da poco spostata sul versante
ligure (nella zona di Urbe) dopo il precedente stanziamento estivo
intorno alle Capanne di Marcarolo, si congiunse con i reparti
già operanti nel settore. Il comando di Divisione era stato
spostato dalla zona del Monte Colma al triangolo S. Luca di Molare-Le
GaronneOlbicella, alla confluenza del torrente Orba.
Qui sarebbe stato difeso da una postazione di ottanta uomini della
Brigata Matteotti con una mitragliatrice ed un servizio di mine
a proteggere l'abitato e il bivio delle Binelle ( da cui partono
le strade per S. Luca e Olbicella). Un distaccamento di settanta
uomini nella zona delle Garonne controllava la strada RossiglioneTiglieto
e l'accesso ad Olbicella dal versante est, mentre un ulteriore
distaccamento di una cinquantina di uomini venne posto a sud-ovest
con compiti di controllo. Il resto della formazione, con l'aggiunta
di sessanta ex-elementi della san Marco appena entrati in divisione,
controllavano le strade dal Sassello e da Acqui e l'accesso per
il colle del Bric dell'Arpescella. 1 distaccamenti vennero disposti
sulle probabili direttrici d'attacco, così da poter costituire
una sorta di quadrato attorno alla sede del comando divisionale.
Paradossalmente questa tattica della difensiva ad oltranza era
un tema assai lontano dalle logiche di guerriglia partigiana,
come faceva notare lo stesso Battaglia. Annotava il capo di Stato
maggiore Simba:
"
... Il concetto di costituire una base operativa e logistica a
carattere statico, se è lecito esprimersi con linguaggio
partigiano, e di accentrare in zona tutte le forze disponibili
sia pure con il criterio di dislocarle, come è stato fatto,
in zone periferiche ed a cavallo di rotabili con compiti di difesa
e di offesa, è in netto contrasto con i principi elementari
della guerriglia partigiana la quale, per ragioni di disponibilità
di personale e di armamento complesso non può ancora, allo
stato attuale delle cose, pretendere di diventare guerra guerreggiata..."
Nelle
prime ore del 10 ottobre le forze tedesche e fasciste si mossero
su quattro direttrici d'attacco: da Ovada per San Luca verso Olbicella;
da Acqui verso Visone, Grognardo e Morbello; dal Sassello verso
Croce del Grino e Pian Castagna e ancora da Acqui, attraverso
one, in direzione di Cimaferle,
Toleto,
Abbassi e Pian Castagna. In totale erano milleduccento uomini
tra tedeschi, bersaglieri, fanti della san Marco, brigate nere,
quaranta automezzi, autoblindo e cannoni. Il rastrellamento non
venne evitato, sia perchè i gruppi della Matteotti, appostati
sulla rotabile per San Luca, si allontanarono non appena videro
i tedeschi, sia per il mancato funzionamento degli esplosivi,
complice probabilmente il tradimento dell'ex milite repubblichino
preposto a questo compito. Ricorda Don Berto:
"...
Gabriele, il Capitano del Genio, che aveva avuto l'incarico di
predisporre i dispositivi di arresto, ci aveva traditi. Pur facendo
parte delle S.S. tedesche, non so come, era riuscito ad infiltrarsi
nelle nostre file. Il mancato funzionamento del dispositivo d'arresto,
predisposto nel settore nord della rotabile Molare-Olbicella,
fu perciò la causa del nostro insuccesso. Il nemico ebbe
così praticamente strada libera per arrivare, pressochè
indisturbato, fino ad Olbicella..."
Da
Olbicella, per frenare l'avanzata nemica, parte una corriera con
quaranta uomini a bordo, agli ordini del vicecomandante Boro e
del comandante del 1 distaccamento Bianco; nello scontro perderanno
la vita sei partigiani. Contemporaneamente un altro contingente
parte sempre da Olbicella per Pian Castagna, comandati da Carlo
e Simba. Ma le forze nazifasciste in marcia da Pian Castagna vennero
fermate dagli uomini del Capitano Domenico Lanza (Mingo): questi
resistettero a d oltranza per tutta la mattinata, ignari di ciò
che era già successo alle loro spalle. Mentre a mezzogiorno
i partigiani si sganciarono dopo aver esaurito le munizioni, il
capitano Mingo rimase a coprire la ritirata, morendo in un ultimo
disperato tentativo di fermare un camion nemico da solo con le
bombe a mano.
Alle
9 del mattino, i tedeschi provenienti da Molare erano già
entrati ad Olbicella, mentre altre truppeda Tiglieto puntavano
direttamente verso il Comando. A nulla valse il sacrificio del
diciannovenne Giovanni Villa (Pancho) con la sua corsa per avvertire
il commissario Ruggero; questi non fece in tempo a nascondere
gran parte del materiale intrasportabile. Alcuni ribelli caddero,
Pancho e altri sei furono arrestati, il commissario riuscì
a fuggire con gli uomini rimanenti.
Disciolte
le formazioni partigiane, i tedeschi si scatenarono contro le
popolazioni, incendiando Morbello, Pian Castagna, Olbicella e
molti cascinali nei dintorni; saccheggiarono le abitazioni e prelevarono
decine di ostaggi da usare come scudi durante il ritorno verso
Acqui e Ovada. Prima di lasciare Olbicella condussero sulla piazza
i sette ostaggi catturati presso la sede del comando; di questi,
Mario Ghiglione (Aria), uno studente di sedici anni, venne bastonato
a sangue e abbandonato privo di sensi. Gli altri sei vennero condannati
a morte come "nemici dell'Italia e della Germania" e impiccati
nel piazzale davanti a tutta la popolazione.
Il
rastrellamento di Olbicella determinò un nuovo punto di
svolta per l'attività partigiana. Gli eventi avevano posto
in risalto l'inadeguatezza delle tattiche militari assunte, l'incapacità
di resistere ad un urto violento del nemico e la scarsa disciplina.
Quest'ultimo problema diventerà prioritario e si evidenzierà
sia nei nuovi criteri selettivi di arruolamento , sia nelle nuove
circolari e direttive (fu ad esempio istituito l'obbligo del saluto
militare), frutto dell'incontro tra la volontà educativa
del Commissario politico Ruggero e l'esperienza militare maturata
nella Repubblica di Salò del Capo di stato maggiore Simba.
La
Divisione unificata Ligure Alessandrina, dopo il 10 ottobre era
ridotta a poco più di un centinaio di uomini (circa 1/3
degli effettivi di settembre). La demoralizzazione per la violenza
e la ferocia dell'eccidio di Olbicella
era un male diffuso. Delle quattro brigate attive solo la Buranello
si poteva considerare efficiente, mentre la Bonaria era ridotta
a 20 uomini, i superstiti della Matteotti avevano abbandonato
il settore e la Mazzarello si stava disgregando per l'allontanamento
del comandante Piero Martiní. Il 16 novembre Vito Doria,
che aveva perso la fiducia dei suoi subaltemi e dei suoi diretti
collaboratori, fu destituito e trasferito in altro settore per
ordine del Comando della VI zona Ligure. La divisione assunse
il nome di Divisione d'assalto Garibaldi "Mingo" ed il comando
venne affidato allo slavo Gregorio Cupic, Boro.
IL
PARTIGIANO FIODOR
Il
caso forse più noto di partecipazione di partigiani stranieri
alla resistenza nel territorio del basso alessandrino è
quello di Fiodor Poletaev, unica medaglia d'oro al valor militare
concessa ad uno straniero in Italia. Sulla morte di Fiodor abbiamo
già riportato nell'Introduzione due testimonianze, quella
di G.B. Lazagna in "Ponte rotto" e quella del Diario di Giuseppina
Cogo. Qui riportiamo la testimonianza dello stesso Lazagna rilasciata
per iscritto a Giampaolo Pansa e dallo stesso riferita nel suo
volume "La guerra partigiana tra Genova e il Po" cit. e quella
contenuta in " Sulle strade dal nemico assediate "Il quadrante
- Alessandria 1983 di Giacinto Franzosi e Luigi Ivaldi.
"L'attesa
non fu molto lunga. Verso l'una del pomeriggio scorgemmo i tedeschi
che, uscendo da Cantalupo, avanzavano verso di noi in due file
lungo i bordi della strada. Procedevano lentamente, mentre noi
li attendevamo nascosti. Solo quando, gìunti a cinquanta
metri, potemmo distinguere i volti rotondi e giallastri dei mongoli,
aprimmo il fuoco con tutte le nostre armi.
I
nemici si sparsero immediatamente ai lati della strada, buttandosi
nella neve, e a loro volta iniziarono a sparare contro di
noi. La sparatoria durò per alcune ore, ad intervalli,
e si avvicinava ormai l'ìmbrunire. i tedeschì non
indietreggiavano, come avevamo sperato perché cadessero
nell'agguato preparato dai nostri compagni che avevano tagliato
loro la strada della ritirata. Decidemmo allora di attaccarli
più da vicino e ci dividemmo in due gruppi: una squadra
avanzava sul lato sinistro della strada, nel greto del torrente
Borbera, l'altra squadra, composta da Fiodor, da un alpino di
Bergamo di cui non ricordo il nome e da me, avanzava sul lato
destro, lungo un campo che era di due o tre metri più alto
della strada.
Nascondendoci
tra gli arbusti arrivammo fino a dieci. quindici metri dai primi
tedeschi, e di li, distesi nella neve, improvvisamente ricominciammo
a sparare sui nemici, che però erano quasi completamente
al riparo dal nostro tiro.
Non
avevamo bombe a mano ed eravamo troppo pochi per assaltare i tedeschi
o per poter stare a lungo così vicìni ad essi, che
erano molto più numerosi di noi.
Mentre
pensavo a ciò, Fiodor improvvisamente si rizzò in
piedi e, levando alto nella destra il mitraglìatore e gridando
a gran voce contro il nemico, scese di corsa i due o tre metri
di scarpata, e piombò sulla strada in mezzo ai mongoli
e ai tedeschi. Questi, sorpresi, si alzarono di colpo con le mani
in alto, ma negli attimi che io e l'alpino impiegammo a raggiungere
Fiodor, un colpo di fucile sparato da più lontano colpì
Fiodor che cadde supino sulla strada. La resa dei tedeschi fu
rapida, e solo pochi in fuga furono inseguiti e catturati. Disarmati
i tedeschi, subito tornai per soccorrere Fiodor, che credevo soltanto
ferito: egli invece era morto, colpito al collo." ( testimonianza
scritta da G. B. Lazagna all'Autore, in G. P. Pansa - Guerra partigiana
tra Genova e il Po - Laterza pg.377 - 378. La vera identità
del partigiano sovietico Fiodor è stata scoperta
soltanto nel 1962: Fiodor Alexander Poletaev, di 36 anni, nato
a Petruscino, fabbro ferraio, già sergente maggiore dell'Armata
Rossa, fuggito da un campo di concentramento dopo l'armistizio.
Gli è stata concessa la medaglia d'oro al valor militare,
alla memoria. Poletaev è l'unico straniero che abbia ricevuto
nel nostro Paese questo alto riconoscimento.)
"
Fiodor Poletaiev, unico straniero in Italia decorato di Medaglia
d'oro al valor militare concessa dalla Repubblica italiana, nacque
in Unione Sovietica nel 1909, nel villaggio di Katino, nella zona
di Gorlowo, in provincia di Riazan.
Proveniente
da una famiglia di agricoltori, il giovane Fiodor divenne operaio
fabbro ferraio nella sua città. Fu chiamato alle armi nel
1931 ed arruolato nel Reggimento di artiglieria divisionale nella
Divisione Fucilieri di Mosca " quale cannoniere ai pezzi controcarro
da 76 min. e quindi congedato nel 1933 con lode per l'ottimo servizio
prestato. Nello stesso anno, tornato alla vita civile, Fiodor
si sposò con una coetanea di nome Masa, dalla quale ebbe
tre figli, due maschi e una femmina, e riprese il proprio lavoro.
Dopo
alcuni trasferimenti con la famiglia, prima a Katino e poi nuovamente
a Gorlowo di Riazan intorno all'anno 1935, Fiodor entrò
a far parte di un kolkhoz dove, oltre ad esercitare il proprio
mestiere, era addetto alle macchine agricole che in quegli anni
si andavano affermando. Sono queste le brevi notizie dispoffibili
sulla vita di Fiodor prima dello scoppio del conflitto mondiale.
La
guerra; che doveva segnare il suo destino e quello di tutto il
popolo sovietico, era stata accuratamente preparata dall'esercito
nazista che, con un imponente spiegamento di forze e grazie a
una parziale sorpresa, doveva annientare l'Unione Sovietica. La
cosiddetta "Operazione Barbarossa" iniziò alle ore 3,30
di domenica 22 giugno 1941. Le armate tedesche, forti di centoquarantuno
Divisioni nazionali, quattordici
rumene e venti finlandesi, passarono il confine dal Baltico al
Mar Nero distruggendo ogni resistenza e puntando sui centri più
importanti con possenti e veloci divisioni motorizzate, sostenute
da una formidabile aviazione che fu subito padrona del cielo.
Riuscirono
così a infliggere all'esercito sovietico perdite immani
in nemmeno due mesi di campagna, distruggendo praticamente le
forze corazzate, l'aviazione e catturando divisioni di prigionieri.
Nonostante la rapidità dell'avanzata e la superiore preparazione,
i tedeschi incontrarono forti resistenze da parte dei reparti
sovietici, non appena questi riuscirono a organizzarsi passabilmente.
Fiodor
era stato richiamato subito dopo l'inizio della guerra con il
grado di sergente del 280 Reggimento artiglieria della 780 Divisione
Fucilieri, la quale durante i combattimenti, per l'eroico comportamento
dei suoi uomini, secondo la tradizione militare sovietica, divenne
90 Divisione ''Fucilieri della Guardia% con decreto del Commissario
del popolo in data 26 novembre 1941.
Il
ruolo del reparto in cui militava Fiodor era importantissimo in
quanto armato con le più avanzate armi controcarro russe,
i cannoni da 76 mm., che, seppur inferiori a quelli tedeschi,
rappresentavano un serio ostacolo per le dilaganti divisioni corazzate
tedesche.
Innumerevoli
furono i combattimenti a cui prese parte Fiodor con la sua Batteria,
in particolare durante la gigantesca battaglia di Smolensk durante
l'inverno 1941-42 e poi a Karkov, dove si distinse come sottufficiale
puntatore. Altri combattimenti degni di nota si svolsero durante
l'offensiva invernale lanciata l'Il dicembre 1942 dall'Armata
rossa che, dopo la lunga ritirata e la strenua resistenza, si
preparava ad attaccare i tedeschi con un movimento che sarebbe
finito soltanto tre anni dopo nel cuore di Berlino.
Alla
fine di giugno del 1942, dopo mesi di combattimenti ed avanzate,
la Batteria
di Fiodor si trovò improvvisamente attaccata da un raggruppamento
di carri medi tedeschi e da numerosa fanteria motorizzata.
La
Batteria che disponeva di solo tre pezzi e di poche mitragliatrici,
aprì il fuoco immediatamente, distruggendo numerosi carri
tedeschi, ma infine i russi furono messi a tacere dal tiro dei
carri armati, mentre la fanteria nemica rapidamente attaccava
i resti della batteria sovietica. Fiodor venne colpito dallo spostamento
d'aria di una granata mentre sparava con la sua mitragliatrice
sui nazisti avanzanti, e venne fatto prigioniero.
Insieme
ad altre migliaia di prigionieri catturati, Fiodor subì
l'inumano trattamento che i nazisti riservavano in particolare
ai prigionieri sovietici. Infatti, contrariamente alle leggi internazionali
di guerra, fu impiegato nelle riparazioni di strade, ponti, linee
ferroviarie, danneggiati dalle incursioni aeree. Dal primo lager
di Vjazma fu portato a Perticev e poi sempre più lontano,
in Polonia, nella città di Meenz; infine, con un trasporto
militare ferroviario, via Jugoslavia, fu trasferito in Italia.
Nel
luglio 1944, ''Fiodor" si trovava in un campo di concentramento
nei pressi di Tortona. Riuscì a mettersi in contatto con
esponenti della Resistenza e fuggì con alcuni suoi concittadini
dalla prigionia. Raggiunse le formazioni partigiane sull' Appennino
ligure piemontese e venne incorporato nel Distaccamento B.I.R.S.
(Banda italo russa di sabotaggio) facente parte della 798 Brigata
"A. Mazzarello".
Nel
mese di ottobre, su ordine del VI Comando di Zona, per esigenze
tattiche, la Brigata fu sciolta. Una parte dei suoi componenti
andò a rinforzare le Divisioni Garibaldi "Mingo" e "Viganò",
ed un gruppo di partigiani sovietici venne trasferito alla 580
Brigata "Oreste" della Divisione Garibaldi "Cichero"; ''Fiodor"
fu tra questi. Il distaccamento 'Terardo" in posizione a Borassi,
in Val Sisola, accolse
i nuovi arrivati in attesa di nuova destinazione. Tutti erano
armati con armi individuali.
L
'8 ottobre 1944, su ordine del comando della Brigata, "Pinan"
lasciò il "Verardo" e con tredici partigiani costituì
a Sant' Ambrogio il nuovo Distaccamento" Nino Franchi" Fra questi
primi partigiani c'erano "Fiodor", Nikolaj Hockin, "Victor" caduto
il 21 marzo 1945, Griscia Puttilin, "Griscia vivente,
abitante a Mosca.
Il
27 ottobre 1944 il "Franchi " completato nei suoi ranghi, prese
posizione a Roccaforte Ligure e, successivamente trasformato in
Battaglione" Franchi si spostò in avanti a ridosso delle
Gole di Pertuso in Val Borbera (Alessandria). Nel paese di Lemmi
si recò il nuovo Distaccamento "Peter" del battaglione
"Franchi".
"Fiodor"
dette subito prova del suo coraggio durante le azioni in cui fu
impegnato, in particolare durante il grande rastrellamento invernale
194445, condotto con un massiccio spiegamento di forze nel tentativo
di annientare le numerose formazioni partigiane operanti sull'
Appennino ligure - emiliano - lombardo piemontese (in questa zona
hanno in confini le quattro regioni), approfittando della stasi
sul fronte italiano, mentre i partigiani, oltre. che per l'incalzare
dei nazifascisti, soffrivano non poco a causa della mancanza di
mezzi adeguati e di un inverno particolarmente rigido, anche se
tutta la popolazione faceva del proprio meglio per dare loro la
massima assistenza.
Risale
a questo periodo un episodio che vide uniti due gloriosi protagonisti
della Resistenza: "Pinan" e ''Fiodor"
Il
rastrellamento ebbe inizio il 3 dicembre nell 'Oltrepò
pavese e nell'alto Piacentino, convergendo sul Passo del Penice;
il 10 arrivò al Passo del Brallo (Pavia) ed il 12 alle
Capanne di Pei. "Pinan % con un distaccamento del Battaglione
"Franchi% si schierò in difesa di Roccaforte Ligure e San
Martino,
mentre il "Peter" difendeva il punto strategico di Lemmi-Sasso.
All'alba
del 14 dicembre 1944 i nazifascisti avevano iniziato l'attacco
in direzione di Mongiardino. il distaccamento "Villa" riuscì
a contenere l'offensiva retrocedendo lentamente sulle alture della
Costa, mentre sulla linea di difesa Roccaforte -San Martino -Lemmi
il Franchi al comando di ''Pinan" fu investito da sei colonne
di tedeschi e brigate nere, che non giunsero nemmeno in vista
dell 'abitato per l'efficiente fuoco di sbarramento dei partigiani
che controllavano ogni sentiero. Il Distaccamento "Peter", con
"Fiodor" ed un gruppo di uomini del "Franchi" poterono così
ripiegare ordinatamente nella nottata sulle posizioni prestabilite
grazie all'efficiente lavoro di copertura effettuato da "Pinan".
Il
"Peter" e "Fiodor" erano, in salvo, ben altro destino toccherà
a "Pinan" nelle successive ventiquattrore.
"Fiodor",
salvatosi così dal combattimento di Roccaforte - Lemmi,
partecipò ad altre azioni e combattimenti del gennaio 1945,
distinguendosi per coraggio e abnegazione. Per "Fiodor" noto tra
i partigiani e la popolazione delle valli non solo per il suo
coraggio in battaglia, ma anche per la sua grande umanità,
si avvicinava però purtroppo il momento della fine.
All'alba
del 2 febbraio 1945, un reparto tedesco, proveniente da Capriata
d'Orba e appartenente al 2360 Battaglione formato in prevalenza
da elementi del Turchestan al comando di un ufficiale e di sottufficiali
tedeschi, facenti parte di gruppi
di combattimento antipartigiani distintisi in tutta Italia e in
tutta l'Europa occupata per la ferocia dimostrata nei confronti
dei resistenti e delle popolazioni civili, forte di circa settanta
uomini, favorito dalla nebbia e dalla semioscurità, alle
7 circa entrò in Val Borbera, a Pertuso, dirigendosi verso
Cantalupo Ligure. A circa cinquecento metri dal paese, all'altezza
dell'abitato di Colonne minacciando di bruciarlo e di fucilare
tutti gli abitanti.
Presero
in ostaggio quattordici contadini del luogo e li portarono a Borghetto
Borbera, sede del Comando tedesco.
Lo
scontro, comunque, frenò l'avanzata dei tedeschi, che occuparono
Cantalupo a metà mattina. Qui si fermarono per riordinare
le file procedendo inoltre alle consuete razzie di viveri. Il
ritardo, protrattosi per circa due ore, fino alle ore 13, permise
ai partigiani della Brigata "Oreste" e a parte di quelli dell'
"Arzani" di organizzare una linea di resistenza e l'eventuale
contrattacco, schierando le forze a tenaglia sulle alture, per
impedire azioni o puntate nemiche che avrebbero potuto passare
per la montagna e nel contempo tenere sotto controllo tutto il
tratto di strada che da Cantalupo Ligure porta a Rocchetta Ligure.
"Tigre" e "Toscano% con gli uomini del "Franchi" e del "Castiglione",
si piazzarono ai lati della strada ancora innevata e sul ghiaione
del torrente Borbera con le armi rivolte verso Cantalupo a completamento
della manovra a tenaglia.
Fra
le ore 13,30 e le ore 14 i Turchestani, al comando di ufficiali
tedeschi, ignari che stavano per cadere in un agguato senza scampo,
incominciarono ad uscire da Cantalupo in direzione di Rocchetta,
disposti in fila indiana, molto distanziati tra loro, ed avanzando
lentamente con le armi pronte a sparare. Così non appena
la retroguardia ebbe lasciato l'abitato, la testa della colonna
entrò in contatto con i partigiani schierati a cavallo
della strada, subendo il fuoco delle armi automatiche, nonché
la sorpresa delle raffiche provenienti dalla montagna che dominava
la strada.
Colta
in un punto della strada completamente allo scoperto e sottoposta
al violento fuoco dei partigiani che sparavano dalla strada, dal
greto del torrente e dalla montagna, la colonna nazifascista si
frazionò immediatamente, cercando riparo nei fossi laterali
della strada, dietro i cumuli di
neve. Solo alcuni graduati e soldati cercarono di opporsi, sventagliando
sul greto del torrente e sulla strada con le mitragliatrici leggere,
ma furono colpiti o dovettero desistere sotto la pioggia del piombo
garibaldino. Il momento era estremamente favorevole alle forze
partigiane, le quali peraltro, seppur in buona posizione, rimanevano
pur sempre inferiori per numero ed armamento.
Fu
dato l'ordine di farsi sotto ma a pochi metti dal nemico la mancanza
di bombe a mano e l'impossibilità di usare con efficienza
le armi individuali rischiavano di compromettere l'azione, dando
ai nazisti una possibilità di reazione e di salvezza. A
questo punto, "Fiodor", incurante del pericolo, saltò sulla
strada dai mucchi di neve e con voce fortissima intimò
la resa in lingua russa ben sapendo che i Turchestani lo comprendevano.
Questi, sorpresi e frastornati dagli spari, dalle urla in lingua
russa e dalla minaccia del mitragliatore del partigiano, cominciarono
a gettare le armi, mentre un grosso nucleo di circa quaranta elementi
si arrese subito. 1 militi in coda alla colonna inutilmente tentarono
di fuggire sparando all'impazzata.
Vennero
colpiti, o gettarono spontaneamente le armi vista la situazione
irreparabile. Proprio in quel momento, quando l'azione decisa
di "Fiodor" aveva dato una svolta all'esito della battaglia, una
pallottola sparata da lontano, probabilmente da un tiratore appostato
nei pressi della casa di Bertagnin, colpì il partigiano
sovietico al cuore, uccidendolo quasi istantaneamente.
Dice
"Tommaso", che gli era vicino, che "Fiodor", appena si rese conto
della presenza dei mongoli fra i tedeschi, si lanciò di
corsa in mezzo alla strada, allo scoperto, gridando: "Arrendetevi!
". Poi si fermò di colpo, alzò le braccia al
cielo e cadde indietro a piombo. Era si stato colpito al cuore.
Aveva scarpe e pantaloni inglesi, una camicia marrone, un maglione
inglese, era senza giubbetto, con un leggero impermeabile chiaro
ed il fazzoletto rosso al collo dei partigiani garibaldini.
Fu
l'unico partigiano caduto nella battaglia di Cantalupo Ligure.
Fu la quarta Medaglia d'oro della Divisione" Pinan -Chichero".
Si
chiudeva così in terra italiana, a pochi mesi dalla Liberazione,
la vicenda del sergente di artiglieria dell'Armata rossa Fiodor
Poletaiev Alexander, uno dei cinquemila cittadini sovietici che
hanno combattuto nelle file della Resistenza italiana, per divenire
uno dei quattrocento partigiani sovietici caduti in Italia combattendo
contro i nazifascisti. Il suo corpo riposa nel Campo della gloria
del cimitero di Genova. Alla sua memoria il Soviet Supremo ha
conferito la massima onorificenza al valor militare: quella di
"Eroe dell'Unione Sovietica".
Due
giorni dopo la vittoriosa battaglia di Cantalupo Ligure il Distaccamento
"Vestone" rioccupò Pertuso, istituendo il blocco stradale
al "ponte rotto% che non verrà più violato.
Motivazione
della Medaglia d'oro al valor militare:
"Deportato
russo in Italia, fuggito dal campo di concentramento tedesco dove
era internato, per raggiungere le formazioni partigiane cui lo
univa la stessa fede nei principi di libertà. Combattente
esemplare per disciplina e per ardimento, durante un attacco in
forze da parte del nemico, si portava, consapevolmente ma incurante
del certo sacrificio della sua vita, con una pattuglia da lui
comandata a tergo del grosso della formazione avversaria, aprendo
il fuoco di sorpresa e intimando a viva voce la resa. Il nemico,
sotto l'imprevisto e temerario attacco, si sbandava arrendendosi.
Nell'epico episodio, che costò al nemico molto perdite
e molti prigionieri e che capovolse le sorti della giornata, cadeva
per l'ideale della libertà dei popoli.
Cantalupo
Ligure (Alessandria), 2 febbraio 1945".
NOTA
BIBLIOGRAFICA
La
documentazione presentata si deve alla testimonianza di Lilio
Giannecchini,
"Toscano",
a quella scritta di Aurelio Ferrando, "Scrivia" pubblicata in
"La Provincia
di Alessandria% 1980, n. I; allo scritto di O.B. Lazagna, "Il
ponte rotto% "Quaderni del Nevose" anno 1966, n. I; a quello di
B. Basko e A. Zdanov,/1 soldato
Fedor
Polietaev, Agenzia di stampa Novosti, Mosca, 1975."
CONCLUSIONE
Indossavano
diverse divise, parlavano lingue diverse; le ideologie, il razzismo,
i nazionalismi li avevano scagliati gli uni contro gli altri;
i tiranni li avevano dispersi lontani dalla loro terra, in diverse
regioni, in diversi stati, in diversi continenti; ma un giorno
.... si trovarono a combattere insieme, insieme per la libertà.
E'
il sentimento di solidarietà che unisce, che traspare dalle
parole citate di Gordon Lett, inglese, combattente della resistenza
italiana sulle montagne della Toscana: "Ricordo che quando fuggii
dal campo di concentramento e mi rifugiai a Rossano, sulla montagna
della Cisa, nutrivo ancora molti pregiudizi verso gli italiani.
Invece trovai subito un'accoglienza commovente. Quei contadini,
quei montanari, sfidarono più volte la morte per salvarmi.
1 tedeschi bruciarono le loro case, e nessuno pensò mai
di fame una colpa a noi. Certo, sulle montagne la vita non era
bella: si mangiava pattona di castagne, si andava a letto con
i pidocchi, ma ciò che conta era che ci sentivamo protettì
dalla popolazione come fossimo dei loro figli. lo e molti altri
miei compagni, inglesi, americani, russi, se siamo ancora vivi
lo dobbiamo esclusivamente alla solidarietà di questo eroico
popolo".
Lo
ricorda l'Internato Militare Italiano Sgt. G. Morgavi, nel descrivere
l'arrivo, insieme con i suoi commilitoni catturati dai tedeschi
dopo l'8 settembre, allo StammIager di Fallingbostell:
"....
quando giungemmo al campo di concentramento c'erano dei prigionieri
francesi che ci rimproverarono duramente di aver attaccato alle
spalle la Francia il 10 giugno 1940. Poi, però, visto che
io parlavo francese, ci abbracciarono e ci offrirono qualcosa
da mangiare, dato che morivamo di fame." Il novese Renato Gatti,
nel suo diario " Le croci sul Golico", ricorda, dopo l'8 settembre,
la solidarietà delle popolazioni locali verso gli sbandati
italiani:" C'è chi, più fortunato, trova qualche
buon albanese che lo fa zappare nei campi in cambio di un tetto,
di un giaciglio e di un po' di pane." Eugenio Rossi,
ufficiale di artiglieria di stanza in Francia meridionale testimonia
sui rapporti con la popolazione locale:" 1 civili Francesi ci
accolsero come coloro che li avevano pugnalati dalla schiena,
ma poi diventammo amici Dopo l'8 settembre del 1943 civili francesi
aiutarono me e quanti altri erano sfuggiti alla cattura, e ci
fecero andare a Marsiglia."
Questi
sentimenti di fratellanza e di collaborazione ci portano a ritenere,
al termine del nostro lavoro di ricerca, che la data
dell'8 settembre 1943 non solo non fu la data della " morte della
patria", bensì quella della rinascita della nazione italiana,
ma fu anche l'inizio della presa di coscienza di un progetto nuovo
di Europa. Non l'Europa dei tiranni, non l'Europa dei "superuomini
arresi'' del Terzo Reich millenario, ma un'Europa di uomini liberi
e di libere nazioni affratellate nella ricerca della pace. Dagli
orrori della guerra i nemici di ieri compresero che potevano essere
gli alleati dell'oggi contro la tirannia e ì fratelli di
domani. Oggi, agli albori del Terzo Millennio, quindici nazioni
europee hanno abolito tra loro ogni frontiera, hanno un Parlamento,
una bandiera, un inno comuni; dal 1989 l'ultimo, odioso muro è
caduto; dal prìmo gennaio 2002 circola nella maggior parte
dei paesi europei una moneta comune, l'Euro; l'Europa si sta allargando
a est, a comprendere ormai quasi tutto il vecchio continente,
per bandire le guerre, per superare le barriere, per esaltare
la comune civiltà e il comune spirito di amicizia. Questo
cammino ancor lungo, ancora difficile, ma esaltante, è
stato iniziato dalle migliaia di uomini comuni che, nel rogo immane
della guerra, hanno saputo ritrovare i comuni valori di umanità
che sembravano perduti.
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