Quegli stranieri che scelsero il fuoco

 

Il partigiano Fiodor

Partigiani russi della Divisione Mingo

 

 

 

 

Capitolo V
Partigiani stranieri nelle formazioni combattenti nel basso alessandrino

Abbiamo voluto indicare con il termine "Basso Alessandrino" la zona corrispondente pressappoco al bacino d'utenza del nostro Istituto, una zona che si estende a cavallo dell'Appennino ligure - piemontese, con montagne anche aspre, percorsa da vallate che si restringono man mano che si allontana dal fondovalle, in collegamento, attraverso passi scoscesi e mulattiere, con la Liguria e, in un tratto dell'Alta Val Borbera, anche con la Lombardia e l'Emilia. Nel fondovalle si apre la pianura con i centri zona di Novi Ligure ed Ovada, sino ad Acqui Terme.

All'epoca della seconda guerra mondiale le zone montane non avevano ancora subito la rarefazione demografica susseguente allo sviluppo industriale del dopoguerra: erano abitate da popolazioni contadine, sovente povere, che si dedicavano ai lavori agricoli e vivevano dei frutti dell'economia appenninica, castagne, legna, un po' di frumento, qualche vigna...

Dopo l'8 settembre 1943 gli occupanti germanici compresero subito l'importanza strategica della zona, che sovrasta importanti vie di comunicazione, prima tra tutte la camionale Serravalle - Genova, anche perché da tempo si stava diffondendo tra gli strateghi tedeschi il timore di uno sbarco degli Alleati in Liguria. Pertanto il territorio offrirà rifugio a numerose bande partigiane e sarà teatro, negli anni 1944 e 1945, di numerosi scontri e di massicci e sanguinosi rastrellamenti,

Molta è la documentazione dell'attività delle formazioni partigiane in questo settore, comprendente diari, documenti storici e importanti ricerche.

Dopo un quadro generale, che renda l'idea dei reparti resistenziali e delle azioni belliche più importanti in questo

territorio, ci siamo soffermati in particolare ad analizzare il contributo che combattenti stranieri diedero alla causa della lotta al nazismo e alla liberazione d'Italia anche nella nostra zona.

Nonostante il territorio in questione faccia parte della Provincia di Alessandria, le formazioni combattenti facevano parte della VI zona Liguria. Alla sesta zona operativa ligure, infatti, facevano anche capo ì territori di Ovada, Novi e Tortona appartenenti alla provincia di Alessandria, e alcune parti delle province di Parma, Piacenza e La Spezia e l'Oltrepò pavese Le principali formazioni partigiane della VI Zona ligure che hanno operato in territorio alessandrìno sono state la 4' DIVISIONE GARIBALDI PINANCICHERO, comprendente la 58 ' Brigata Oreste, la Brigata Arzani, la Brigata Po-Argo, la Brigata Val Lemme-Capurro, la 108' Brigata Paolo Rossi; nel fondovalle operò la BRIGATA SAP NOVI LIGURE e nella zona della Val Lemme e dell'Ovadese la DIVISIONE GARIBALDI MINGO, comprendente la Brigata Buranello, la Brigata Pio, la Brigata Olivieri, la Brigata Macchi e la Brigata Vecchia.

Dalla cronologia abbiamo estrapolato i fatti più significati riguardanti le formazìoni partigiane operanti nella nostra zona:

 

1943

SECONDA META DI SETTEMBRE: a Pian Castagna, per iniziativa di gruppi antifascisti locali e di militanti del Partito comunista provenienti da Genova, e a Dernice, intorno al tenente dell'aeronaufica Franco Anselmi Marco, si costituiscono le prime bande partigiane della provincia.

INIZIO OTTOBRE - INIZIO NOVEMBRE: si costituiscono i CLN di Ovada, Casale Monferrato, Noví Ligure, Tortona.

2 DICEMBRE: partigiani della banda Merlo, costituitasi nel novese, assaltano il forte di Gavi Ligure. Nell'azione vengono liberati numerosi alti ufficiali inglesi prigionieri.

 

1944

INIZIO GENNAIO: le tre bande attestate intorno al monte Tobbio (circa 40 uomini) si riuniscono e danno vita alla Il Brigata Garibaldi Liguria, al cui comando viene nominato Edmondo Tosi. Al processo di unificazione non partecipa la banda di Giuseppe Merlo, uno studente che non intende aderire ad una formazione partigiana ispirata dal Partito comunista.

13 GENNAIO: prima azione della 111 Liguria, sul monte Zuccaro. Nove militari fascisti vengono catturati e passati per le armi dopo essere stati processati.

FEBBRAIO - MARZO: la 111 Liguria e la banda Merlo, anche in conseguenza dei bandi Graziani, dilatano di molto i loro organici saliti rispettivamente a 570 e 200. L'afflusso dei giovani renitenti mette in luce i gravi problemi organizzativi e di annamento delle due formazioni.

MARZO: numerose azioni di guerriglia della 111 Liguria nel settore compreso tra Bosio, Gavi Ligure, Rossiglione e Masone. In particolare vengono incendiati alcuni uffici di leva e passati per le armi esponenti del fascismo repubblicano.

15 E 18 MARZO: i partigiani della III Liguria catturano e passano per le armi i segretari delle sezioni del fascio repubblicano di Tagliolo Monferrato e Casaleggio Boiro.

6-11 APRILE: rastrellamento ed eccidio della Benedicta. Nazisti e fascisti circondano la zona dove sono attestate le formazioni di Tosi e di Merlo. Fanno saltare la "Benedicta" un ex convento dove i partigiani della 111 Liguria hanno insediato il loro comando e incendiano numerose cascine. 147 partigiani e giovani renitenti vengono fucilati nel giorno di Pasqua e nei giorni successivi. Altri 400 vengono deportati (200 di loro riescono a fuggire con l'aiuto della popolazione alla stazione di Sesto San Giovanni).

8 APRILE: a Voltaggio i nazisti fucilano 8 partigiani catturati nel corso del rastrellamento della "Benedicta" e ne avviano altri 40 verso i campi di concentramento.

11 APRILE: Voltaggio è ancora spettatori di un, nuovo eccidio di uomini catturati alla "Benedicta": dopo quelli fucilati quattro giorni prima, vengono giustiziati altri otto partigiani.

19 MAGGIO: al passo del Turchino i nazifascisti fucilano 44 partigiani fatti prigionieri nelle settimane precedenti. Tra loro vi sono alcuni partigiani catturati nel corso del rastrellamento della "Benedicta": i due Comandanti della divisione Autonoma Alessandria Giancarlo Odino, Italo, e Isidoro Pestarino, William, e il commissario della 111 Liguria Rino Mandoli.

25 MAGGIO: rastrellamento di carabinieri e militi della GNR in val Borbera contro la banda di Marco. Il rastrellamento fallisce e i partigiani catturano sette militi.

FINE MAGGIO - INIZIO GIUGNO: si ricostituiscono, in piccoli gruppi, le formazioni attestate intorno al monte Tobbio e alla Benedicta investite dal rastrellamento di Pasqua.

INIZIO GIUGNO: alcuni comandanti della ex III Liguria costituiscono sulle alture della valle Orba la brigata Garibaldi Buranello, forte inizialmente di circa 40 uomini.

INIZIO GIUGNO: i superstiti della formazione del capitano Odino, ucciso nel rastrellamento di Pasqua, danno vita alla brigata Autonoma Gian Carlo Odino, attiva nei dintorni di Voltaggio.

8 LUGLIO: grave bombardamento aereo su Novi Ligure. Colpita la stazione ferroviaria e I' area antistante, lo scalo merci di San Bovo, la stazione tranviaria. Danni gravissimi in tutta l'area di Porta Pozzolo: sono distrutte molte abitazioni civili e si registrano circa 100 morti.

INIZIO AGOSTO: la banda di Franco Anselmi viene inquadrata nella divisione garibaldina genovese Cichero. AGOSTO: si susseguono incessantemente le azioni di guerriglia in tutta la provincia, dalla pianura alla montagna. Gli stessi dirigenti fascisti segnalano con apprensione, nei loro rapporti periodici, la crescente attività dei ribelli nel corso dell'estate.

12 AGOSTO: viene paracadutata sull'Appennino ligure la prima missione alleata con il compito di aiutare le operazioni militari delle formazioni partigiane (ma anche di "sorvegliarle"). La missione, denominata Walla Walla, rimane in territorio italiano per diciannove settimane e sistema il proprio centro operativo a Carrega Ligure: la presenza della missione consente alle formazioni attive in VI Zona ligure di ricevere i primi lanci di armi e materiale logistico.

15 AGOSTO: arrivano in provincia reparti delle divisioni fasciste San Marco e Monte Rosa destinate all'attività antipartigiana e ai rastrellamenti. Con l'arrivo delle nuove truppe i fascisti e i nazisti possono contare in provincia su un organico di circa 10. 000 uomini.

22 AGOSTO: inizia il rastrellamento in val Borbera. Un plotone di 30 fascisti è respinto alle gole di Pertuso.

24 AGOSTO: Seconda puntata nazifascista in val Borbera, fronteggiata da una sessantina di uomini agli ordini di Franco Anselmi.

25 AGOSTO: nuovo assalto della banda Merlo al forte di Gavi Ligure e liberazione di numerosi partigiani e militari alleati prigionieri.

25-27 AGOSTO: battaglia di Pertuso. Dal versante ligure giungono a dar man forte al gruppo di Anselmi gli uomini del distaccamento Peter della divisione Chichero una trentina di partigiani comandati dal novese Aurelio Ferrando, Scrivia 1 partigiani, aiutati dalle popolazioni locali armate di fucili da caccia, e sostenuti dalle donne della val Borbera che svolgono un prezioso lavoro di sussistenza, resistono due giorni ma alla fine devono ritirarsi.

INIZIO SETTEMBRE: gli uomini di Franco Anselmi e del distaccamento Peter riprendono le loro posizioni in val Borbera e in val Curone.

12 SETTEMBRE: la brigata Buranello sì trasforma in divisione. In un primo tempo assume il nome di divisione Doría e, dopo breve tempo, quello definitivo di Mingo, La comanda Gregorio Cupic, Boro, mentre Oscar Barillari, Ruggero, è il commissario politico.

22 SETTEMBRE: 1 fascisti fucilano al poligono del Martinetto di Torino Oreste Armano, partigiano della Cichero catturato nelle settimane precedenti in Val Borbera. Al suo ricordo i partigiani della VI Zona ligure intitolano una brigata la Oreste.

23 SETTEMBRE: i gruppi partigiani attivi nelle valli Borbera e Curone e gli uomini del distaccamento Peter vengono inquadrati nella brigata Garibaldi Oreste. Comandante è il cattolico Aurelio Ferrando, commissario il comunista Otello Pascoliní, Moro. All'inizio di ottobre la brigata conta circa 300 effettivi.

SETTEMBRE - OTTOBRE: i partigiani della Oreste promuovono la costituzione di giunte comunali nei paesi della Val Borbera e della Val Curone liberatí dai nazifascisti. Nelle due vallate vengono attivati anche due ospedali partigiani e un campo prigionieri.

SETTEMBRE - OTTOBRE: gli uomini della Oreste compiono incursioni quasi giornaliere sulla camionale Serravalle-Genova, arteria di grande importanza strategica tra il mare e la pianura Padana. 1 collegamenti logistici delle forze naziste subiscono difficoltà rilevanti.

11 OTTOBRE: i nazisti tentano con una pattuglia di 120 uomini di penetrare in val Borbera ma vengono rapidamente respinti.

12 OTTOBRE: rastrellamento nazifascista nella zona di Ponzone, Cimaferle e Piancastagna nel corso del quale viene ucciso il comandante partigiano Domenico Lanza, della divisione Garibaldi Mingo.

26 OTTOBRE: in seguito al consistente aumento dell'organico della brigata Oreste, i comandi partigiani decidono la costituzione di una nuova brigata, la Arzani, che conta circa 250 effettivi e svolge la propria attività principalmente in val Curone.

27 OTTOBRE: attacco in forze delle Brigate Nere contro il battaglione Po della neonata brigata Arzani a S. Sebastiano Curone. 1 partigiani accettano il combattimento e respingono gli assalitori.

4 NOVEMBRE: il distaccamento Vestone della divisione fascista Monte Rosa, forte di 200 alpini, diserta e passa al completo nella brigata Oreste. Molti tra i nuovi partigiani, quasi tutti originari del bresciano, restano uniti e conservano, provocatoriamente, per il loro nuovo distaccamento il nome Vestone.

23 NOVEMBRE: inizia nel piacentino il grande rastrellamento che ha per obiettivo l'annientamento delle forze partigiane dislocate sull'Appennino piacentino, genovese ed alessandrino.

2-5 DICEMBRE: rastrellamento in val Lemme e nella zona tra Cassinelle e Bandita. 1 partigiani della Mingo si ritirano senza perdite.

8 DICEMBRE: attacco della Oreste lungo la camionale Serravalle-Genova per disturbare i rifornimenti logistici alle truppe in rastrellamento.

11 DICEMBRE: i partigiani dell'Oreste distruggono il ponte di Varinella per impedire l'accesso alla val Borbera attraverso la direttrice di Roccaforte.

13 DICEMBRE: i nazisti catturano Paolo Rossi il comandante della 108 a brigata Garibaldi, che da lui prenderà il nome. Rinchiuso nel castello di Piovera, viene seviziato ed ucciso il 15 dicembre.

14 DICEMBRE: inizio del rastrellamento in val Borbera e in val Curone. In vari punti i partigiani dell'Oreste e dell'Arzani ingaggiano scontri a fuoco con i nazifascisti. Ben presto però devono sganciarsi di fronte ad un attacco condotto con forze e mezzi ingenti. Molti partigiani si rifugiano in buche appositamente scavate nel terreno e rifornite di acqua e cibo; altri cercano di raggiungere le vette più alte dell'Antola e del Carmo. I partigiani originari del tortonese e del novese riescono invece a passare tra le maglie del rastrellamento e trovano rifugio a valle.

15 DICEMBRE: gli attaccanti entrano in val Borbera quando i partigiani sono ormai riusciti a sganciarsi. I rastrellatori, tra i quali sono presenti numerosi reparti della Turkestan, divisione formata da soldati di origine russo-asiatica (i cosiddetti "mongoli"), sfogano la loro rabbia contro i civili: saccheggi, incendi, stupri collettivi di donne giovani e anziane sono per giorni la tragica realtà di tutte le borgate dell'alta val Borbera.

15 DICEMBRE: in val Borbera i nazisti scoprono una "buca" in cui sono rifugiati sei partigiani. Dopo aver ucciso il loro comandante, Giuseppe Salvarezza, Pinan, catturano gli altri partigiani e li costringono a seguirli portando gli zaini delle munizioni a piedi scalzi per 6 giorni, finché nella notte del 21 dicembre li uccidono nei pressi di Casella, in provincia di Genova.

22 DICEMBRE: a Volpara una pattuglia tedesca in rastrellamento scopre un gruppo di partigiani. Nello scontro viene ucciso il partigiano sedicenne Aureliano Galeazzo, Michel.

24 DICEMBRE: 1 fascisti fucilano il partigiano Osvaldo Capurro, della brigata Val Lemme, che da lui prenderà il nome.

28 DICEMBRE: attacco in forze contro la divisione garibaldina Viganò in tutto il territorio tra Ovada e Acqui; l'operazione si protrae per tre giorni, ma i risultati sono anche in questo caso assai modesti: vengono catturati soltanto due partigiani, Paolo Bocca, Barbablù, e il partigiano sovietico Alexander, che sono fucilati il 30 dicembre a Novi Ligure.

28 DICEMBRE: mitragliamento aereo della littorina ferroviaria NoviFrugarolo, con morti e feriti.

28 DICEMBRE: i nazifascisti in rastrellamento in val Borbera sorprendono alcuni partigiani della brigata Oreste in ripiegamento. Nello scontro restano uccisi tre partigiani: Angelo Cecchinelli, Gaetano Colombo e Giovanni Taddeo.

29-30 DICEMBRE: nuovo tentativo di rastrellamento nella zona controllata dalla Mingo, condotto in forze da un migliaio di marò della San Marco. Anche questa volta i partigiani riescono a sganciarsi senza subire perdite.

31 DICEMBRE: ennesimo bombardamento sulla città di Novi Ligure: colpite pesantemente via Roma e via Cavour, gravi danni alle abitazioni civili e numerose vittime.

 

1945

15 GENNAIO: due nuove missioni alleate si lanciano con i paracadute sull'Appennino ligure alessandrino e stabiliscono il loro comando e centro operativo a Carrega Ligure. La prima, inglese, è comandata dal colonnello Mac Mullen e ha fra i propri componenti lo storico Basil Davidson; la seconda, americana, è comandata dal maggiore di origine italiana Leslie Vannoncini, noto come maggiore Van.

20 GENNAIO: i nazifascisti circondano Bosio, dove è dislocato un gruppo di partigiani della banda Merlo. Nello scontro a fuoco cadono un partigiano e un soldato tedesco. Immediata rappresaglia nazista: incendio e saccheggio di molte case ed uccisione di un civile.

21-29 GENNAIO: riprende il rastrellamento in val Borbera, con quotidiane puntate nei paesi e nei borghi delle valli Borbera e Curone. Il tentativo di disperdere le forze partigiane delle brigate Arzani e Oreste, in via di riorganizzazione dopo il rastrellamento di Natale, non ha però esito.

25 GENNAIO: in seguito a crudeli torture, muore alla Casa dello Studente di Genova dove era stato rinchiuso il dirigente comunista serravallese Roberto Berthoud. Nel corso dei mesi precedenti il suo laboratorio di calzoleria era diventato un rifugio sicuro per le formazioni partigiane del novese e un punto di riferimento per tutti i giovani che volevano raggiungere le formazioni di montagna.

2 FEBBRAIO: battaglia di Cantalupo. Un battaglione mongolo della Turkestan viene attaccato mentre cerca di raggiungere Carrega, sede dei comando della VI Zona ligure e delle missioni americana e inglese. 1 partigiani della Oreste, riorganizzatosi in poche settimane, sorprendono la colonna nei pressi di Cantalupo Ligure e dopo una battaglia di alcune ore catturano decine di prigionieri e si impossessano di un ingente quantitativo di armi. Nel corso della battagli cade il partigiano russo Fjodor Poletaév.

6-7 FEBBRAIO: nuova massiccia puntata nazifascista in val Borbera. Il rastrellamento, che vede impiegati circa 1.500 uomini, ha ancora una volta esito negativo. A dimostrazione dello sfaldamento che ormai percorre le fila fasciste, 50 bersaglieri della Littorio si arrendono senza combattere ai partigiani della Oreste.

11 FEBBRAIO: riprende "ufficialmente'' dopo le difficoltà successive al rastrellamento invernale e l'impegno per impedire altre puntate nazifasciste nelle valli Borbera e Curone, l'attività di sabotaggio dei partigiani delle brigate Oreste e Arzani sulla camionale Genova - Serravalle e sulle altre arterie di grande traffico del sud della provincia. Da quel momento gli attacchi a pattuglie e colonne nemiche diventano quotidiani. In un loro comunicato le due brigate garibaldine dichiarano di aver effettuato, nel solo periodo compreso tra l'1 1 febbraio e la fine del mese, 34 azioni di guerra, causando al nemico 27 morti e 23 feriti; di aver catturato 15 prigionieri; di aver affondato un traghetto sul Po e causato 3 interruzioni ferroviarie.

INIZIO MARZO: in molti paesi delle valli Curone e Borbera vengono ricostituite le Giunte comunali che restano attive sino al momento della Liberazione e nelle settimane successive.

8 MARZO: viene costituita la divisione Garibaldi Pinan-Cichero. L'intensificarsi dell'attività militare ad opera delle brigate Oreste ed Arzani, i cui organici sono rapidamente aumentati dopo il rastrellamento di Natale, induce il comando della VI Zona ligure a formare la nuova divisione che inquadra, oltre alle due brigate principali, il battaglione Po, nato da una costola dell'Arzani, e la 108 a brigata di pianura Paolo Rossi. Comandante della nuova divisione è Aurelio Ferrando, Scrivia, vice comandante Giovanni Battista Lazagna, Carlo, commissario Anelito Barontini, Rolando, vice commissario Mario Franzone, Ugo.

13 MARZO: battaglia di Garbagna. Ennesimo tentativo di attacco contro la Pinan-Cichero, ma il rastrellamento si rivela subito fallimentare: i partigiani passano al contrattacco e i nazifascisti dopo appena mezz'ora di combattimento chiedono di trattare la resa. Sei morti e oltre 120 prigionieri è il bilancio per i rastrellatori. Un solo morto, il comandante Aldo Ravetta, Argo, tra i partigiani. Il battaglione Po, a cui Ravetta apparteneva, viene costituito nei giorni seguenti in brigata e assume il nome di Po-Argo. Da questa data, nonostante i disperatitentativi di nazisti e fascisti, le valliCurone e Borbera sono di fatto e definitivamente libere.

7 APRILE: partigiani della Mingo e della Viganò compiono un'azione congiunta nel pieno centro di Ovada, penetrano nella locale caserma della Gnr e catturano 11 militi

11 APRILE: ultimo massiccio tentativo nazifascista di penetrare nelle valli controllate dalla Pinan-Cichero. Dopo un duro combattimento sulle alture tra Sant'Alosio e Costa Vescovado.

24 APRILE: prima fra le formazioni alessandrine, la Pinan-Cichero inizia le operazioni insurrezionali. L'Oreste inizia la marcia verso Genova liberando le località di Arquata, Serravalle, Cassano, Villalvernia, Pietrabissara, Ronco Scrivia e Busalla. 1 partigiani della brigata Pio della divisione Mingo ottengono la resa del presidio di Voltaggio.

26 APRILE: i partigiani della PinanCichero occupano Novì Ligure. Con la presa dì possesso del Palazzo comunale da parte del CLN della città, Acqui Terme è libera.

27 APRILE: nel novese cade l'ultimo presidio tedesco di Vignole Borbera.( tratto da "I venti mesi nell'alessandrino. Una proposta di cronologia "a cura di Roberto Botta). Numerose sono le testimonianze della presenza e del contributo rilevante di partigiani stranieri nelle formazioni operanti nella nostra zona. Secondo la testimonianza di " Carlo" (G. B. Lazagna ) gli stranieri che combatterono a fianco dei resistenti italiani nella VI zona figure furono circa una sessantina. In talunì casi furono proprio dei prigionieri di guerra evasi a fornire il nucleo principale per la costituzione delle prime bande sull'Appennino.

NASCONO LE BANDE SULL' APPENNINO. LA BANDA DI VOLTAGGIO

"Sull' Appennino, i genovesi trovarono numerosi ex prigionieri stranieri, australiani, russi, canadesi, inglesi, sudafricani, jugoslavi, fuggiti dai campi di concentramento dei Giovi, di Calvari nella valle Fontanabuona, dal forte di Gavi. Come è rilevabile da alcune testimonìanze, questi soldati erano all'inizio abbastanza restii all'idea di costituire delle bande armate ed organizzate, disponendosi su una linea di chiaro attesismo. Ma dall'incontro di alcuni di questi, soprattutto russi e jugoslavi, con soldati sbandati italiani, contribuendo spesso in misura determinante all'efficienza tattica e alla formazione politica e militare dei loro compagni, nacquero le prime due bande sull'Appermino.

Questa intemazionalizzazione accomunata ad una matrice politica assumerà, per certi aspetti, dei risvolti paradossali : agli ex prigionieri scappati con l'8 settembre, che gli eventi vedranno come tra i più intrepidi combattenti per la Resistenza, si affiancarono ufficiali italiani che, prima in Russia o nei Balcani o in Francia avevano combattuto ì partigiani e acquisito così familiarità con le tattiche della guerra per bande. Una prima formazione vide la luce a Pian Castagna, fra la val d'Erro e l'alta val d'Orfeo composta da nove prigionieri di guerra evasi dal campo dei Giovi e da tre italiani. Un secondo gruppo si era attestato sulle falde del monte Porale, ad est della val Lemme, composto da undici uomini, di cui otto russi, uno jugoslavo, due italiani: Tommaso Merlo (Puny), alpino ventitreenne e Giuseppe Merlo, studente di medicina, originario di Bosio e già sottotenente di complemento degli alpini. In un primo momento questi gruppi furono avvicinati e coordinati dall'ingegner Agostini, per poi essere raggiunti, verso la fine di settembre da due studenti genovesi, inviati dal P.C.I. per assumere il controllo politico e militare: Walter Fillak (Gennaio poi Martiri), che sarà uno degli eroi della resistenza, già arrestato nel 1942 per attività sovversiva e Giacomo Buranello. Quest'ultimo sarebbe diventato nel giro di pochi mesi una delle figure più ricordate nella storia della III^ brigata Liguria e della divisione MIngo: prima del servìzio militare, costituì un movimento comunista di operai e studenti, organizzò il soccorso rosso e mise in opera una tipografia clandestina, continuando, dopo il 1942, una volta arruolatosi nel corso allievi ufficiali, la sua attività all'interno dell'esercito. Da subito, apparvero difficili i rapporti con la formazione di Merlo, che si era autodefinita "Banda di Voltaggio", a causa della refrattarietà dei suoi componenti ad un qualsiasi tentativo di inquadramento politico: Merlo stesso era propenso alla creazione di una formazione di impostazione esclusivamente militare. Acuì ulteriormente la frattura all'interno della banda (che stazionava all'Albergo Grande, una cascina utilizzata in passato come essicatoio per le castagne) l'arrivo di nuovi componenti, per la maggior parte militanti comunisti inviati in montagna dalla federazione genovese.

"Tra i nuovi arrivati vi fu anche il commissario politico ... e per merito suo le discussioni politiche furono anteposte all'addestramento militare sicché non fu cosa difficile il prevedere che per l'incompatibilità politica la formazione si sarebbe presto scissa".

Questa divisione tra militari e politici si rispecchiava anche nella quotidianità dei comportamenti: mentre Puny e Merlo scendevano abitualmente alle loro abitazioni, i genovesi stavano rigorosamente sul posto, impegnandosi in lunghe discussioni politiche e non nascondendo l'intenzione di dare una precisa fisionomia di partito alla banda. Neppure l'arrivo del nuovo commissario politico, un operaio dell'Ansaldo (Mori), venuto a sostituire G.B. Canepa (Marzo), riuscì ad a migliorare la situazione e ad amalgamare le due correnti presenti nella formazione."

". ... sull'Appennino dopo 1,8 settembre ... avevano trovato rifugio numerosi gruppi di militari italiani e di ex - prigionieri di guerra. 1 primi venivano dai centri dell'Alessandrino meridionale e, dopo qualche giorno di permanenza in montagna, quasi tutti avevano preferito andarsene per tentare il ritorno a casa o per dirigersi verso il Cuneese dove sembrava che ì reparti della Il armata si preparassero a combattere ì Tedeschi. Gli stranieri, invece, erano rimasti tra i monti tra lo Stura e lo Scrivia. Erano russi, jugoslavi, sud - africani, australiani e qualche inglese, fuggiti dal campo di concentramento dei Giovi, da quello di Calvari nella valle di Fontanabuona, e dal forte di Gavi, lasciati incustoditi all'annuncio dell'annistizio. Vivevano in gruppetti isolati, grazie all'aiuto delle popolazioni dei due versanti. Dall'incontro tra i soldati italiani sbandati e i prigionieri stranieri nacquero, a metà settembre, le prime due bande dell'Appennino alessandrino. Il primo nucleo si formò a Pian Castagna, un piccolo paese montano tra l'alta val d'Erro e l'alta val d'Orba. Era costituito da nove prigionieri evasi dal campo dei Giovi e da tre militari italiani, uno dei quali tenente dell'esercito. Verso il 20 settembre Agostini si recò a Pian Castagna e prese contatto con questo gruppo e con il parroco del paese, don Paolo Boido, che aveva offerto i primi aiuti agli sbandati. Qualche giorno dopo giunsero nel settore due studenti comunisti genovesi, Walter Fillak ( Gennaio), di 23 anni, e Giacomo Buranello, di 22, inviati dal loro partito ad assumere il comando e il controllo del nucleo.

Meno rapido fu invece il collegamento con la seconda banda, nata verso la metà di settembre sulle falde del monte Porale, ad est della val Lemme. Era formata da otto russi e uno jugoslavo fuggiti da Ronco Scrívia, e da due italiani del posto: Tommaso Merlo ( Puni), un manovale di Voltaggio di 23 anni, già alpino, e lo studente di medicina Giuseppe Merlo di 22 anni, proveniente da Bosio.

Quest'ultimo, sottotenente di complemento degli alpini, era in pratica il capo del gruppo. Gli undici uomini armati di pochi fucili modello 1891 e di una pistola, con scarse munizioni mancavano di tutto. Avevano bisogno specialmente di viveri e di denaro, ma la zona, ricca soltanto di castagne e funghi e abitata da montanari poveri, non offriva molte risorse. 1 due italiani si collegarono con un liberale genovese, l'ingegnere Mario Albini ( Giorgi), sfollato a Voltaggio. Con l'aiuto di antifascisti del paese e di gente di Bosio e di Gavi, Albini procurò alla banda qualche rifornimento e qualche arma e la mise in contatto con i primi nuclei di resistenza genovesi." (In Giampaolo PANSA, Guerra partigiana tra Genova e il PO: la Resistenza in provincia di Alessandria, Bari, Laterza, 1967 IL DISTACCAMENTO PETER Se il contributo, anche di esperienza militare nella guerriglia, di prigionieri stranieri evasi fu decisivo per la costituzione delle prime bande nell'Appennino, non va dimenticata la partecipazione alla resistenza nelle nostre vallate di uomini provenienti dallc nazionalità più svariate, che giunsero a dare la vita perché sentivano che la lotta per la liberazione dell'Italia era la lotta per la liberazione di tutti i popoli oppressi e schiavi della tirannide hitleriana. E' il caso di "Giuseppe", un polacco di cui ci dà testimonianza il comandante "Carlo":

"Il CLN regionale Liguria aveva approvato per noi la denominazione di Terza Brigata Garibaldina di assalto.

Queste notizie furono da noi lungamente commentate, perché erano il preannuncio di una riorganizzazione completa.

I nuovi arrivati mandati da Bisagno erano: un cecoslovacco alto e biondo e due giovani operai genovesi.

Mentre tutti noi interrogavamo i due genovesi su quanto accadeva a Genova, sui preparativi che i tedeschi facevano a Genova per distruggere il porto e le opere pubbliche, a causa della rapida avanzata alleata, il cecoslovacco si era messo a parlare in tedesco con Giuseppe, un nostro polacco.

Giuseppe era un ragazzo biondo, magro, con i lineamenti femminili, coraggioso, ma molto suscettibile. Gli scherzi più innocenti lo irritavano terribilmente, tanto che tutti noi avevamo rinunciato a scherzare con lui. Nonostante questo, ci era molto simpatico, per il modo scrupoloso con cui attuava i servizi di guardia e di pattuglia e per il coraggio che dimostrava nelle azioni.

Quando ebbe finito il suo discorso col cecoslovacco, chiesi a Giuseppe chi fosse il suo interlocutore. Giuseppe mi spiegò che era disertore dell'esercito tedesco e gli sembrava un ottimo elemento.

Poi aggiunse che avevano progettato insieme di andare a far disertare altri polacchi e cechi incorporati nell'esercito tedesco.

Chiamai Scrivia e gli esposi il progetto di Giuseppe, ma Scrivia, come me, non era molto entusiasta dell'impresa. Nondimeno Giuseppe era deciso; e noi, ben sapendo che quando si era fisso in capo qualcosa nulla poteva smuoverlo, lo lasciammo partire dopo avergli raccomandato molta prudenza.

Dopo tre ore dalla partenza di Giuseppe col cecoslovacco, arrivò al casone un giovane contadino e ci disse che un partigiano era morto. Gli domandammo ansiosi che cosa fosse successo, mentre alcuni andavano a prendere le loro armi per prepararsi a combattere.

"Mi trovavo su una collina con le pecore, - disse, - e vidi due partigiani che scendevano. Si diressero verso una capanna, uno bussò alla porta e subito uscirono dei tedeschi con le maschinpistole puntate. Giuseppe prese la sua pistola, ma non ha fatto in tempo a sparare che gli hanno sparato una raffica. Egli è caduto e gli altri si sono subito allontanati assieme, portando Giuseppe morto".

Il giovane contadino si incamminò, mentre gli raccomandavamo di informarsi nei paesi se Giuseppe era morto.

"Se fosse solo ferito, - disse Tigre, potremmo tentare di liberarlo!"

Con Scrivia intanto ci consultammo sul da farsi. Era evidente che il cecoslovacco era una spia, e probabilmente non era neppure cecoslovacco, ma tedesco. Ormai i nemici sapevano con precisione dove eravamo, e perciò era urgente cambiare posto. Dato che non era accaduto nulla dopo la partenza dei tre marinai, pensammo che il posto dove eravamo prima, vicino a Teruzzo, offrisse sufficienti garanzie, tanto più che vi erano i rifugi già pronti.

Appena si fece buio ci spostammo ed arrivammo al nostro vecchio casone.

Verso mezzogiorno sentimmo degli spari di mitragliatrice e di bombe a mano. Ci alzammo tutti e rinforzammo le guardie, mandando due pattuglie nel bosco in direzione degli spari. Poi tutto tacque e l'indomani i contadini ci riferirono che circa cinquecento tedeschi erano venuti ed avevano circondato il casone. Dopo aver sparato, visto che nessuno usciva si erano avvicinati, l'avevano incendiato ed erano tornati indietro a mani vuote.

Nella serata i membri del comitato di Uscio ci mandarono ad avvisare che Giuseppe era morto. La notizia ci lasciò molto tristi, benché vi fossimo preparati Alla riunione serale decidemmo di dare ai nostro distaccamento il nome di Peter, vero nome di Giuseppe, primo della lunga serie dei caduti del nostro distaccamento."( da Giovanni Battista LAZAGNA, Ponte rotto. Storia della divisione garibaldina Pinan - Cichero. Genova, Edizioni de "11 Partigiano", 1946)

 

PARTIGIANI STRANIERI CADUTI

"Giuseppe" Peter non fu purtroppo l'unico partigiano straniero caduto tra i combattenti delle formazioni della VI zona Liguria operanti sull'Appennino alessandrino. Possiamo a buon diritto affermare che in quasi tutti gli episodi significativi della resistenza e della lotta di liberazione svoltisi nel nostro territorio non mancò il contributo di sangue di partigiani provenienti dai luoghi più lontani, uniti dal comune ideale di libertà.

Anche nel tragico rastrellamento della "Benedicta" ( 6 - 11 aprile 1944) ricordiamo tra i caduti tre combattenti stranieri : Silburn Bruce, proveniente dal Sudafrica e due martiri ignoti, uno di nazionalità inglese ed uno proveniente dall'Unione Sovietica.

Così nell'episodio che costò la vita al partigiano 64 Pinan", Giuseppe Salvarezza, una delle venti medaglie d'oro della Resistenza alessandrina, si mescolò al sangue dei caduti italiani quello di tre caduti di nazionalità russa, fucilati il 21 dicembre 1944:

"Un gruppo del Franchi si era nascosto in un rifugio presso Rovello: non c'era posto per tutti e il comandante del distaccamento, Giuseppe Salvarezza ( Pinan), aveva voluto sistemarsi fuori con un russo, in una capanna. All'alba i garibaldini vennero sorpresi da una pattuglia tedesca. Pinan, un contadino di 20 anni, reagì e cadde combattendo. Il russo e altri cinque partigiani che si trovavano nella buca vennero catturati. Privati delle scarpe e costretti a portare pesanti zaini pieni di munizioni, i "ribelli" dovettero seguire per sei giorni le squadre germaniche che rastrellavano la montagna, finché furono uccisi nella notte del 21 dicembre, presso Casella: si chiamavano Aldo Ravino Fieramosca), Alberto Pugno ( Bertin), Marsiglio Limoni ( Guscio), Affanassi Garsow ( Affanassi), Ivan Goctidow ( Pajarski) e Stefan Nikivic (Stifan)." ( G.P. Pansa - Guerra partigiana tra Genova e il Po - Laterza pg.311 - 312)"

 

LA BIRS

Dopo il rastrellamento della Benedicta i partigiani ricomparvero presto nella zona intorno al monte Tobbio, benché rastrellata accuratamente in aprile. Tra la Val Lemme e la Val d'Orba, proprio quella fascia che la GNR aveva giudicata epurata, vide, tra maggio e giugno, il ricostituirsi di piccole formazioni isolate, di dieci - quindici uomini ciascuna, poco armate e militarmente inattive. Mentre Giuseppe Merlo e Renato Repetto, scampati all'eccidio, ponevano le basi per una nuova formazione autonoma tra Bosio e Parodi Ligure, a Palazzo, sul Bric dell'Arpescella, si unirono sette uomini, tutti ex componenti della III Brigata Liguria: fra questi vi erano Gregorio Cupic, Oscar Barillari, Saverio de Palo (Macchi), Alfonso Viganò (Lux) e Franco Gonzatti.

Contemporaneamente, nella zona centrale del massiccio, due nuclei di sbandati italiani e sovietici diedero vita ad una formazione conosciuta come BIRS: Banda italo-russa di sabotaggio, comandata dal sovietico Griska e dal ligure Alessio Franzone (Arrigo), già collaboratore della Brigata Liguria. Proprio quest'ultimo, in un suo celebre scritto, ne riporta l'atto di costituzione:

"Il giorno 8 maggio 1944 è stato deciso fra alcuni russi, ex prigionieri di guerra ed alcuni Italiani, di costituire una banda per azioni di sabotaggio con la denominazione:

B.I.R.S. e cioè - Banda Italo - Russa di Sabotaggio. La banda dovrà essere composta di un massimo di 45 uomini e ciò per dare, ai componenti di essa, modo di poter facilmente rifornirsi di armi, esplosivi e viveri, ed anche per poter meglio occultarsi in una zona che è già stata provata da un forte rastrellamento e, tuttora tenuta sotto sorveglianza.

La banda ha già forma concreta ed attiva ed intende senz'altro iniziare la sua opera. Per conseguire tale fine intende tenersi in stretto contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale. In quanto agli obiettivi da colpire la banda si atterrà agli ordini del Comitato ed agirà di sua iniziativa quando ciò si renderà necessario o lo si crederà opportuno.

Come già detto la Banda si compone di ex prigionieri russi e di italiani. Questi ultimi, sono persone provate, che hanno cioè appartenuto a bande di patrioti o che hanno avuto rapporti con esse, ricercati per motivi politici, disertori o renitenti alla chiamata della repubblica di Salò.

I componenti della Banda vivono isolatamente ed a gruppi di pochi individui; ma sono in costante comunicazione fra loro in modo da trovarsi nel più breve spazio di tempo tutti riuniti allorché ve ne sia bisogno.

Gli obiettivi che la banda si ripromette di colpire sono costituiti principalmente da: ferrovie e treni, strade e ponti, linee telefoniche e telegrafiche,...

Lo scopo che la banda si prefigge è di portare il suo modesto contributo alla disfatta degli invasori. Questo è l'unico fine per cui i componenti della B.I.R.S. agiscono al disopra di ogni opportunismo presente e futuro."

Appare evidente, così come testimonia il documento formativo della BIRS, quanto la fase di riorganizzazione abbia tenuto conto degli errori antecedenti l'esperienza negativa del rastrellamento; da ciò la consapevolezza di una necessaria fluidità nella struttura delle formazioni, rapidità delle azioni, velocità, capacità di spostamento, massima possibilità di comunicazione tra i gruppi, squadre ridottissime.

 

IL COMANDANTE BORO

Gregorio Cupic ( Boro) proveniva dall'esercito regolare iugoslavo, dove operò come sottufficiale radiotelegrafista fino a quando non fu arrestato e condannato per attività antifascista ed imprigionato nelle carceri di Fossano (Cuneo), da cui riuscì a fuggire nel settembre del 1943.

Prima commissario politico del terzo distaccamento della Brigata Buranello, divenne poi Vicecomandante della Divisione Doria.

Quando nacque, dalla fusione della Divisione Garibaldi Doria con le formazioni minori della zona, la Il Divisione Unificata Ligure Alessandrina, Gregorio Cupic ne fu il vicecomandante, La Divisione Ligure Alessandrina incorporava:

la Brigata Buranello, comandante Cesare Dattilo, commissario Clemente Delfino (Bruno); 150 uomini dislocati nella zona di Urbe ( con i distaccamenti presso le zone montane di Acquabuona, Acquabianca, Vara Superiore e Vara Inferiore);

la Brigata A.Mazzarello, comandante Piero Martini, commissario Alessio Franzone, 70 uomini frazionati attorno al Tobbio; la Brigata di manovra Michele Bonaria, dislocata nel settore Moretti-Pían Castagna, nata dal Gruppo celere autonomo, piccola banda costituita nell'alto savonese da Domenico Lanza (Mingo), capitano di complemento degli alpini, incrementato dall'arrivo in formazione negli ultimi giorni di settembre di un grosso reparto di disertori della Divisione fascìsta San Marco; la Brigata Matteotti Val Bormida, dislocata a san Luca di Molare.

Alla fine di settembre la Divisione era in piena fase organizzativa. L'andamento favorevole delle operazioni militari alleate degli ultimi due mesi diffondevano un clima di generale ottimismo. Perciò nessuno pensava all'eventualità di un rastrellamento, così che i movimenti di truppe tedesche che si cominciavano a notare nell'ovadese venivano interpretate come i primi segni di una probabile ed imminente ritirata germanica.

Il 7 ottobre, alle cinque di mattina, la formazione GL di Luciano, confinante con quella garibaldina, venne attaccata con forza a Bandita di Cassinelle, con numerose perdite sia tra i civili che tra i partigiani. La Divisione LigureAlessandrina non poté fare altro che apprestarsi a sostenere l'eventualità di un combattimento. Il comandante Doria, contro i suggerimenti del commissario politico e con il disappunto dello stesso capo di stato maggiore, decise arditamente di richiamare nella zona di Olbicella tutte le formazioni, anche quelle dislocate in zone molto distanti, per un totale di circa trecento uomini. Anche la Brigata Buranello, che si era da poco spostata sul versante ligure (nella zona di Urbe) dopo il precedente stanziamento estivo intorno alle Capanne di Marcarolo, si congiunse con i reparti già operanti nel settore. Il comando di Divisione era stato spostato dalla zona del Monte Colma al triangolo S. Luca di Molare-Le GaronneOlbicella, alla confluenza del torrente Orba. Qui sarebbe stato difeso da una postazione di ottanta uomini della Brigata Matteotti con una mitragliatrice ed un servizio di mine a proteggere l'abitato e il bivio delle Binelle ( da cui partono le strade per S. Luca e Olbicella). Un distaccamento di settanta uomini nella zona delle Garonne controllava la strada RossiglioneTiglieto e l'accesso ad Olbicella dal versante est, mentre un ulteriore distaccamento di una cinquantina di uomini venne posto a sud-ovest con compiti di controllo. Il resto della formazione, con l'aggiunta di sessanta ex-elementi della san Marco appena entrati in divisione, controllavano le strade dal Sassello e da Acqui e l'accesso per il colle del Bric dell'Arpescella. 1 distaccamenti vennero disposti sulle probabili direttrici d'attacco, così da poter costituire una sorta di quadrato attorno alla sede del comando divisionale. Paradossalmente questa tattica della difensiva ad oltranza era un tema assai lontano dalle logiche di guerriglia partigiana, come faceva notare lo stesso Battaglia. Annotava il capo di Stato maggiore Simba:

" ... Il concetto di costituire una base operativa e logistica a carattere statico, se è lecito esprimersi con linguaggio partigiano, e di accentrare in zona tutte le forze disponibili sia pure con il criterio di dislocarle, come è stato fatto, in zone periferiche ed a cavallo di rotabili con compiti di difesa e di offesa, è in netto contrasto con i principi elementari della guerriglia partigiana la quale, per ragioni di disponibilità di personale e di armamento complesso non può ancora, allo stato attuale delle cose, pretendere di diventare guerra guerreggiata..."

Nelle prime ore del 10 ottobre le forze tedesche e fasciste si mossero su quattro direttrici d'attacco: da Ovada per San Luca verso Olbicella; da Acqui verso Visone, Grognardo e Morbello; dal Sassello verso Croce del Grino e Pian Castagna e ancora da Acqui, attraverso one, in direzione di Cimaferle,

Toleto, Abbassi e Pian Castagna. In totale erano milleduccento uomini tra tedeschi, bersaglieri, fanti della san Marco, brigate nere, quaranta automezzi, autoblindo e cannoni. Il rastrellamento non venne evitato, sia perchè i gruppi della Matteotti, appostati sulla rotabile per San Luca, si allontanarono non appena videro i tedeschi, sia per il mancato funzionamento degli esplosivi, complice probabilmente il tradimento dell'ex milite repubblichino preposto a questo compito. Ricorda Don Berto:

"... Gabriele, il Capitano del Genio, che aveva avuto l'incarico di predisporre i dispositivi di arresto, ci aveva traditi. Pur facendo parte delle S.S. tedesche, non so come, era riuscito ad infiltrarsi nelle nostre file. Il mancato funzionamento del dispositivo d'arresto, predisposto nel settore nord della rotabile Molare-Olbicella, fu perciò la causa del nostro insuccesso. Il nemico ebbe così praticamente strada libera per arrivare, pressochè indisturbato, fino ad Olbicella..."

Da Olbicella, per frenare l'avanzata nemica, parte una corriera con quaranta uomini a bordo, agli ordini del vicecomandante Boro e del comandante del 1 distaccamento Bianco; nello scontro perderanno la vita sei partigiani. Contemporaneamente un altro contingente parte sempre da Olbicella per Pian Castagna, comandati da Carlo e Simba. Ma le forze nazifasciste in marcia da Pian Castagna vennero fermate dagli uomini del Capitano Domenico Lanza (Mingo): questi resistettero a d oltranza per tutta la mattinata, ignari di ciò che era già successo alle loro spalle. Mentre a mezzogiorno i partigiani si sganciarono dopo aver esaurito le munizioni, il capitano Mingo rimase a coprire la ritirata, morendo in un ultimo disperato tentativo di fermare un camion nemico da solo con le bombe a mano.

Alle 9 del mattino, i tedeschi provenienti da Molare erano già entrati ad Olbicella, mentre altre truppeda Tiglieto puntavano direttamente verso il Comando. A nulla valse il sacrificio del diciannovenne Giovanni Villa (Pancho) con la sua corsa per avvertire il commissario Ruggero; questi non fece in tempo a nascondere gran parte del materiale intrasportabile. Alcuni ribelli caddero, Pancho e altri sei furono arrestati, il commissario riuscì a fuggire con gli uomini rimanenti.

Disciolte le formazioni partigiane, i tedeschi si scatenarono contro le popolazioni, incendiando Morbello, Pian Castagna, Olbicella e molti cascinali nei dintorni; saccheggiarono le abitazioni e prelevarono decine di ostaggi da usare come scudi durante il ritorno verso Acqui e Ovada. Prima di lasciare Olbicella condussero sulla piazza i sette ostaggi catturati presso la sede del comando; di questi, Mario Ghiglione (Aria), uno studente di sedici anni, venne bastonato a sangue e abbandonato privo di sensi. Gli altri sei vennero condannati a morte come "nemici dell'Italia e della Germania" e impiccati nel piazzale davanti a tutta la popolazione.

Il rastrellamento di Olbicella determinò un nuovo punto di svolta per l'attività partigiana. Gli eventi avevano posto in risalto l'inadeguatezza delle tattiche militari assunte, l'incapacità di resistere ad un urto violento del nemico e la scarsa disciplina. Quest'ultimo problema diventerà prioritario e si evidenzierà sia nei nuovi criteri selettivi di arruolamento , sia nelle nuove circolari e direttive (fu ad esempio istituito l'obbligo del saluto militare), frutto dell'incontro tra la volontà educativa del Commissario politico Ruggero e l'esperienza militare maturata nella Repubblica di Salò del Capo di stato maggiore Simba.

La Divisione unificata Ligure Alessandrina, dopo il 10 ottobre era ridotta a poco più di un centinaio di uomini (circa 1/3 degli effettivi di settembre). La demoralizzazione per la violenza e la ferocia dell'eccidio di Olbicella era un male diffuso. Delle quattro brigate attive solo la Buranello si poteva considerare efficiente, mentre la Bonaria era ridotta a 20 uomini, i superstiti della Matteotti avevano abbandonato il settore e la Mazzarello si stava disgregando per l'allontanamento del comandante Piero Martiní. Il 16 novembre Vito Doria, che aveva perso la fiducia dei suoi subaltemi e dei suoi diretti collaboratori, fu destituito e trasferito in altro settore per ordine del Comando della VI zona Ligure. La divisione assunse il nome di Divisione d'assalto Garibaldi "Mingo" ed il comando venne affidato allo slavo Gregorio Cupic, Boro.

 

IL PARTIGIANO FIODOR

Il caso forse più noto di partecipazione di partigiani stranieri alla resistenza nel territorio del basso alessandrino è quello di Fiodor Poletaev, unica medaglia d'oro al valor militare concessa ad uno straniero in Italia. Sulla morte di Fiodor abbiamo già riportato nell'Introduzione due testimonianze, quella di G.B. Lazagna in "Ponte rotto" e quella del Diario di Giuseppina Cogo. Qui riportiamo la testimonianza dello stesso Lazagna rilasciata per iscritto a Giampaolo Pansa e dallo stesso riferita nel suo volume "La guerra partigiana tra Genova e il Po" cit. e quella contenuta in " Sulle strade dal nemico assediate "Il quadrante - Alessandria 1983 di Giacinto Franzosi e Luigi Ivaldi.

"L'attesa non fu molto lunga. Verso l'una del pomeriggio scorgemmo i tedeschi che, uscendo da Cantalupo, avanzavano verso di noi in due file lungo i bordi della strada. Procedevano lentamente, mentre noi li attendevamo nascosti. Solo quando, gìunti a cinquanta metri, potemmo distinguere i volti rotondi e giallastri dei mongoli, aprimmo il fuoco con tutte le nostre armi.

I nemici si sparsero immediatamente ai lati della strada, buttandosi nella neve, e a loro volta iniziarono a sparare contro di noi. La sparatoria durò per alcune ore, ad intervalli, e si avvicinava ormai l'ìmbrunire. i tedeschì non indietreggiavano, come avevamo sperato perché cadessero nell'agguato preparato dai nostri compagni che avevano tagliato loro la strada della ritirata. Decidemmo allora di attaccarli più da vicino e ci dividemmo in due gruppi: una squadra avanzava sul lato sinistro della strada, nel greto del torrente Borbera, l'altra squadra, composta da Fiodor, da un alpino di Bergamo di cui non ricordo il nome e da me, avanzava sul lato destro, lungo un campo che era di due o tre metri più alto della strada.

Nascondendoci tra gli arbusti arrivammo fino a dieci. quindici metri dai primi tedeschi, e di li, distesi nella neve, improvvisamente ricominciammo a sparare sui nemici, che però erano quasi completamente al riparo dal nostro tiro.

Non avevamo bombe a mano ed eravamo troppo pochi per assaltare i tedeschi o per poter stare a lungo così vicìni ad essi, che erano molto più numerosi di noi.

Mentre pensavo a ciò, Fiodor improvvisamente si rizzò in piedi e, levando alto nella destra il mitraglìatore e gridando a gran voce contro il nemico, scese di corsa i due o tre metri di scarpata, e piombò sulla strada in mezzo ai mongoli e ai tedeschi. Questi, sorpresi, si alzarono di colpo con le mani in alto, ma negli attimi che io e l'alpino impiegammo a raggiungere Fiodor, un colpo di fucile sparato da più lontano colpì Fiodor che cadde supino sulla strada. La resa dei tedeschi fu rapida, e solo pochi in fuga furono inseguiti e catturati. Disarmati i tedeschi, subito tornai per soccorrere Fiodor, che credevo soltanto ferito: egli invece era morto, colpito al collo." ( testimonianza scritta da G. B. Lazagna all'Autore, in G. P. Pansa - Guerra partigiana tra Genova e il Po - Laterza pg.377 - 378. La vera identità del partigiano sovietico Fiodor è stata scoperta soltanto nel 1962: Fiodor Alexander Poletaev, di 36 anni, nato a Petruscino, fabbro ferraio, già sergente maggiore dell'Armata Rossa, fuggito da un campo di concentramento dopo l'armistizio. Gli è stata concessa la medaglia d'oro al valor militare, alla memoria. Poletaev è l'unico straniero che abbia ricevuto nel nostro Paese questo alto riconoscimento.)

" Fiodor Poletaiev, unico straniero in Italia decorato di Medaglia d'oro al valor militare concessa dalla Repubblica italiana, nacque in Unione Sovietica nel 1909, nel villaggio di Katino, nella zona di Gorlowo, in provincia di Riazan.

Proveniente da una famiglia di agricoltori, il giovane Fiodor divenne operaio fabbro ferraio nella sua città. Fu chiamato alle armi nel 1931 ed arruolato nel Reggimento di artiglieria divisionale nella Divisione Fucilieri di Mosca " quale cannoniere ai pezzi controcarro da 76 min. e quindi congedato nel 1933 con lode per l'ottimo servizio prestato. Nello stesso anno, tornato alla vita civile, Fiodor si sposò con una coetanea di nome Masa, dalla quale ebbe tre figli, due maschi e una femmina, e riprese il proprio lavoro.

Dopo alcuni trasferimenti con la famiglia, prima a Katino e poi nuovamente a Gorlowo di Riazan intorno all'anno 1935, Fiodor entrò a far parte di un kolkhoz dove, oltre ad esercitare il proprio mestiere, era addetto alle macchine agricole che in quegli anni si andavano affermando. Sono queste le brevi notizie dispoffibili sulla vita di Fiodor prima dello scoppio del conflitto mondiale.

La guerra; che doveva segnare il suo destino e quello di tutto il popolo sovietico, era stata accuratamente preparata dall'esercito nazista che, con un imponente spiegamento di forze e grazie a una parziale sorpresa, doveva annientare l'Unione Sovietica. La cosiddetta "Operazione Barbarossa" iniziò alle ore 3,30 di domenica 22 giugno 1941. Le armate tedesche, forti di centoquarantuno Divisioni nazionali, quattordici rumene e venti finlandesi, passarono il confine dal Baltico al Mar Nero distruggendo ogni resistenza e puntando sui centri più importanti con possenti e veloci divisioni motorizzate, sostenute da una formidabile aviazione che fu subito padrona del cielo.

Riuscirono così a infliggere all'esercito sovietico perdite immani in nemmeno due mesi di campagna, distruggendo praticamente le forze corazzate, l'aviazione e catturando divisioni di prigionieri. Nonostante la rapidità dell'avanzata e la superiore preparazione, i tedeschi incontrarono forti resistenze da parte dei reparti sovietici, non appena questi riuscirono a organizzarsi passabilmente.

Fiodor era stato richiamato subito dopo l'inizio della guerra con il grado di sergente del 280 Reggimento artiglieria della 780 Divisione Fucilieri, la quale durante i combattimenti, per l'eroico comportamento dei suoi uomini, secondo la tradizione militare sovietica, divenne 90 Divisione ''Fucilieri della Guardia% con decreto del Commissario del popolo in data 26 novembre 1941.

Il ruolo del reparto in cui militava Fiodor era importantissimo in quanto armato con le più avanzate armi controcarro russe, i cannoni da 76 mm., che, seppur inferiori a quelli tedeschi, rappresentavano un serio ostacolo per le dilaganti divisioni corazzate tedesche.

Innumerevoli furono i combattimenti a cui prese parte Fiodor con la sua Batteria, in particolare durante la gigantesca battaglia di Smolensk durante l'inverno 1941-42 e poi a Karkov, dove si distinse come sottufficiale puntatore. Altri combattimenti degni di nota si svolsero durante l'offensiva invernale lanciata l'Il dicembre 1942 dall'Armata rossa che, dopo la lunga ritirata e la strenua resistenza, si preparava ad attaccare i tedeschi con un movimento che sarebbe finito soltanto tre anni dopo nel cuore di Berlino.

Alla fine di giugno del 1942, dopo mesi di combattimenti ed avanzate, la Batteria di Fiodor si trovò improvvisamente attaccata da un raggruppamento di carri medi tedeschi e da numerosa fanteria motorizzata.

La Batteria che disponeva di solo tre pezzi e di poche mitragliatrici, aprì il fuoco immediatamente, distruggendo numerosi carri tedeschi, ma infine i russi furono messi a tacere dal tiro dei carri armati, mentre la fanteria nemica rapidamente attaccava i resti della batteria sovietica. Fiodor venne colpito dallo spostamento d'aria di una granata mentre sparava con la sua mitragliatrice sui nazisti avanzanti, e venne fatto prigioniero.

Insieme ad altre migliaia di prigionieri catturati, Fiodor subì l'inumano trattamento che i nazisti riservavano in particolare ai prigionieri sovietici. Infatti, contrariamente alle leggi internazionali di guerra, fu impiegato nelle riparazioni di strade, ponti, linee ferroviarie, danneggiati dalle incursioni aeree. Dal primo lager di Vjazma fu portato a Perticev e poi sempre più lontano, in Polonia, nella città di Meenz; infine, con un trasporto militare ferroviario, via Jugoslavia, fu trasferito in Italia.

Nel luglio 1944, ''Fiodor" si trovava in un campo di concentramento nei pressi di Tortona. Riuscì a mettersi in contatto con esponenti della Resistenza e fuggì con alcuni suoi concittadini dalla prigionia. Raggiunse le formazioni partigiane sull' Appennino ligure piemontese e venne incorporato nel Distaccamento B.I.R.S. (Banda italo russa di sabotaggio) facente parte della 798 Brigata "A. Mazzarello".

Nel mese di ottobre, su ordine del VI Comando di Zona, per esigenze tattiche, la Brigata fu sciolta. Una parte dei suoi componenti andò a rinforzare le Divisioni Garibaldi "Mingo" e "Viganò", ed un gruppo di partigiani sovietici venne trasferito alla 580 Brigata "Oreste" della Divisione Garibaldi "Cichero"; ''Fiodor" fu tra questi. Il distaccamento 'Terardo" in posizione a Borassi, in Val Sisola, accolse i nuovi arrivati in attesa di nuova destinazione. Tutti erano armati con armi individuali.

L '8 ottobre 1944, su ordine del comando della Brigata, "Pinan" lasciò il "Verardo" e con tredici partigiani costituì a Sant' Ambrogio il nuovo Distaccamento" Nino Franchi" Fra questi primi partigiani c'erano "Fiodor", Nikolaj Hockin, "Victor" caduto il 21 marzo 1945, Griscia Puttilin, "Griscia vivente, abitante a Mosca.

Il 27 ottobre 1944 il "Franchi " completato nei suoi ranghi, prese posizione a Roccaforte Ligure e, successivamente trasformato in Battaglione" Franchi si spostò in avanti a ridosso delle Gole di Pertuso in Val Borbera (Alessandria). Nel paese di Lemmi si recò il nuovo Distaccamento "Peter" del battaglione "Franchi".

"Fiodor" dette subito prova del suo coraggio durante le azioni in cui fu impegnato, in particolare durante il grande rastrellamento invernale 194445, condotto con un massiccio spiegamento di forze nel tentativo di annientare le numerose formazioni partigiane operanti sull' Appennino ligure - emiliano - lombardo piemontese (in questa zona hanno in confini le quattro regioni), approfittando della stasi sul fronte italiano, mentre i partigiani, oltre. che per l'incalzare dei nazifascisti, soffrivano non poco a causa della mancanza di mezzi adeguati e di un inverno particolarmente rigido, anche se tutta la popolazione faceva del proprio meglio per dare loro la massima assistenza.

Risale a questo periodo un episodio che vide uniti due gloriosi protagonisti della Resistenza: "Pinan" e ''Fiodor"

Il rastrellamento ebbe inizio il 3 dicembre nell 'Oltrepò pavese e nell'alto Piacentino, convergendo sul Passo del Penice; il 10 arrivò al Passo del Brallo (Pavia) ed il 12 alle Capanne di Pei. "Pinan % con un distaccamento del Battaglione "Franchi% si schierò in difesa di Roccaforte Ligure e San Martino, mentre il "Peter" difendeva il punto strategico di Lemmi-Sasso.

All'alba del 14 dicembre 1944 i nazifascisti avevano iniziato l'attacco in direzione di Mongiardino. il distaccamento "Villa" riuscì a contenere l'offensiva retrocedendo lentamente sulle alture della Costa, mentre sulla linea di difesa Roccaforte -San Martino -Lemmi il Franchi al comando di ''Pinan" fu investito da sei colonne di tedeschi e brigate nere, che non giunsero nemmeno in vista dell 'abitato per l'efficiente fuoco di sbarramento dei partigiani che controllavano ogni sentiero. Il Distaccamento "Peter", con "Fiodor" ed un gruppo di uomini del "Franchi" poterono così ripiegare ordinatamente nella nottata sulle posizioni prestabilite grazie all'efficiente lavoro di copertura effettuato da "Pinan".

Il "Peter" e "Fiodor" erano, in salvo, ben altro destino toccherà a "Pinan" nelle successive ventiquattrore.

"Fiodor", salvatosi così dal combattimento di Roccaforte - Lemmi, partecipò ad altre azioni e combattimenti del gennaio 1945, distinguendosi per coraggio e abnegazione. Per "Fiodor" noto tra i partigiani e la popolazione delle valli non solo per il suo coraggio in battaglia, ma anche per la sua grande umanità, si avvicinava però purtroppo il momento della fine.

All'alba del 2 febbraio 1945, un reparto tedesco, proveniente da Capriata d'Orba e appartenente al 2360 Battaglione formato in prevalenza da elementi del Turchestan al comando di un ufficiale e di sottufficiali tedeschi, facenti parte di gruppi di combattimento antipartigiani distintisi in tutta Italia e in tutta l'Europa occupata per la ferocia dimostrata nei confronti dei resistenti e delle popolazioni civili, forte di circa settanta uomini, favorito dalla nebbia e dalla semioscurità, alle 7 circa entrò in Val Borbera, a Pertuso, dirigendosi verso Cantalupo Ligure. A circa cinquecento metri dal paese, all'altezza dell'abitato di Colonne minacciando di bruciarlo e di fucilare tutti gli abitanti.

Presero in ostaggio quattordici contadini del luogo e li portarono a Borghetto Borbera, sede del Comando tedesco.

Lo scontro, comunque, frenò l'avanzata dei tedeschi, che occuparono Cantalupo a metà mattina. Qui si fermarono per riordinare le file procedendo inoltre alle consuete razzie di viveri. Il ritardo, protrattosi per circa due ore, fino alle ore 13, permise ai partigiani della Brigata "Oreste" e a parte di quelli dell' "Arzani" di organizzare una linea di resistenza e l'eventuale contrattacco, schierando le forze a tenaglia sulle alture, per impedire azioni o puntate nemiche che avrebbero potuto passare per la montagna e nel contempo tenere sotto controllo tutto il tratto di strada che da Cantalupo Ligure porta a Rocchetta Ligure. "Tigre" e "Toscano% con gli uomini del "Franchi" e del "Castiglione", si piazzarono ai lati della strada ancora innevata e sul ghiaione del torrente Borbera con le armi rivolte verso Cantalupo a completamento della manovra a tenaglia.

Fra le ore 13,30 e le ore 14 i Turchestani, al comando di ufficiali tedeschi, ignari che stavano per cadere in un agguato senza scampo, incominciarono ad uscire da Cantalupo in direzione di Rocchetta, disposti in fila indiana, molto distanziati tra loro, ed avanzando lentamente con le armi pronte a sparare. Così non appena la retroguardia ebbe lasciato l'abitato, la testa della colonna entrò in contatto con i partigiani schierati a cavallo della strada, subendo il fuoco delle armi automatiche, nonché la sorpresa delle raffiche provenienti dalla montagna che dominava la strada.

Colta in un punto della strada completamente allo scoperto e sottoposta al violento fuoco dei partigiani che sparavano dalla strada, dal greto del torrente e dalla montagna, la colonna nazifascista si frazionò immediatamente, cercando riparo nei fossi laterali della strada, dietro i cumuli di neve. Solo alcuni graduati e soldati cercarono di opporsi, sventagliando sul greto del torrente e sulla strada con le mitragliatrici leggere, ma furono colpiti o dovettero desistere sotto la pioggia del piombo garibaldino. Il momento era estremamente favorevole alle forze partigiane, le quali peraltro, seppur in buona posizione, rimanevano pur sempre inferiori per numero ed armamento.

Fu dato l'ordine di farsi sotto ma a pochi metti dal nemico la mancanza di bombe a mano e l'impossibilità di usare con efficienza le armi individuali rischiavano di compromettere l'azione, dando ai nazisti una possibilità di reazione e di salvezza. A questo punto, "Fiodor", incurante del pericolo, saltò sulla strada dai mucchi di neve e con voce fortissima intimò la resa in lingua russa ben sapendo che i Turchestani lo comprendevano. Questi, sorpresi e frastornati dagli spari, dalle urla in lingua russa e dalla minaccia del mitragliatore del partigiano, cominciarono a gettare le armi, mentre un grosso nucleo di circa quaranta elementi si arrese subito. 1 militi in coda alla colonna inutilmente tentarono di fuggire sparando all'impazzata.

Vennero colpiti, o gettarono spontaneamente le armi vista la situazione irreparabile. Proprio in quel momento, quando l'azione decisa di "Fiodor" aveva dato una svolta all'esito della battaglia, una pallottola sparata da lontano, probabilmente da un tiratore appostato nei pressi della casa di Bertagnin, colpì il partigiano sovietico al cuore, uccidendolo quasi istantaneamente.

Dice "Tommaso", che gli era vicino, che "Fiodor", appena si rese conto della presenza dei mongoli fra i tedeschi, si lanciò di corsa in mezzo alla strada, allo scoperto, gridando: "Arrendetevi! ". Poi si fermò di colpo, alzò le braccia al cielo e cadde indietro a piombo. Era si stato colpito al cuore. Aveva scarpe e pantaloni inglesi, una camicia marrone, un maglione inglese, era senza giubbetto, con un leggero impermeabile chiaro ed il fazzoletto rosso al collo dei partigiani garibaldini.

Fu l'unico partigiano caduto nella battaglia di Cantalupo Ligure. Fu la quarta Medaglia d'oro della Divisione" Pinan -Chichero".

Si chiudeva così in terra italiana, a pochi mesi dalla Liberazione, la vicenda del sergente di artiglieria dell'Armata rossa Fiodor Poletaiev Alexander, uno dei cinquemila cittadini sovietici che hanno combattuto nelle file della Resistenza italiana, per divenire uno dei quattrocento partigiani sovietici caduti in Italia combattendo contro i nazifascisti. Il suo corpo riposa nel Campo della gloria del cimitero di Genova. Alla sua memoria il Soviet Supremo ha conferito la massima onorificenza al valor militare: quella di "Eroe dell'Unione Sovietica".

Due giorni dopo la vittoriosa battaglia di Cantalupo Ligure il Distaccamento "Vestone" rioccupò Pertuso, istituendo il blocco stradale al "ponte rotto% che non verrà più violato.

Motivazione della Medaglia d'oro al valor militare:

"Deportato russo in Italia, fuggito dal campo di concentramento tedesco dove era internato, per raggiungere le formazioni partigiane cui lo univa la stessa fede nei principi di libertà. Combattente esemplare per disciplina e per ardimento, durante un attacco in forze da parte del nemico, si portava, consapevolmente ma incurante del certo sacrificio della sua vita, con una pattuglia da lui comandata a tergo del grosso della formazione avversaria, aprendo il fuoco di sorpresa e intimando a viva voce la resa. Il nemico, sotto l'imprevisto e temerario attacco, si sbandava arrendendosi. Nell'epico episodio, che costò al nemico molto perdite e molti prigionieri e che capovolse le sorti della giornata, cadeva per l'ideale della libertà dei popoli.

Cantalupo Ligure (Alessandria), 2 febbraio 1945".

 

NOTA BIBLIOGRAFICA

La documentazione presentata si deve alla testimonianza di Lilio Giannecchini,

"Toscano", a quella scritta di Aurelio Ferrando, "Scrivia" pubblicata in "La Provincia di Alessandria% 1980, n. I; allo scritto di O.B. Lazagna, "Il ponte rotto% "Quaderni del Nevose" anno 1966, n. I; a quello di B. Basko e A. Zdanov,/1 soldato

Fedor Polietaev, Agenzia di stampa Novosti, Mosca, 1975."

CONCLUSIONE

Indossavano diverse divise, parlavano lingue diverse; le ideologie, il razzismo, i nazionalismi li avevano scagliati gli uni contro gli altri; i tiranni li avevano dispersi lontani dalla loro terra, in diverse regioni, in diversi stati, in diversi continenti; ma un giorno .... si trovarono a combattere insieme, insieme per la libertà.

E' il sentimento di solidarietà che unisce, che traspare dalle parole citate di Gordon Lett, inglese, combattente della resistenza italiana sulle montagne della Toscana: "Ricordo che quando fuggii dal campo di concentramento e mi rifugiai a Rossano, sulla montagna della Cisa, nutrivo ancora molti pregiudizi verso gli italiani. Invece trovai subito un'accoglienza commovente. Quei contadini, quei montanari, sfidarono più volte la morte per salvarmi. 1 tedeschi bruciarono le loro case, e nessuno pensò mai di fame una colpa a noi. Certo, sulle montagne la vita non era bella: si mangiava pattona di castagne, si andava a letto con i pidocchi, ma ciò che conta era che ci sentivamo protettì dalla popolazione come fossimo dei loro figli. lo e molti altri miei compagni, inglesi, americani, russi, se siamo ancora vivi lo dobbiamo esclusivamente alla solidarietà di questo eroico popolo".

Lo ricorda l'Internato Militare Italiano Sgt. G. Morgavi, nel descrivere l'arrivo, insieme con i suoi commilitoni catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre, allo StammIager di Fallingbostell:

".... quando giungemmo al campo di concentramento c'erano dei prigionieri francesi che ci rimproverarono duramente di aver attaccato alle spalle la Francia il 10 giugno 1940. Poi, però, visto che io parlavo francese, ci abbracciarono e ci offrirono qualcosa da mangiare, dato che morivamo di fame." Il novese Renato Gatti, nel suo diario " Le croci sul Golico", ricorda, dopo l'8 settembre, la solidarietà delle popolazioni locali verso gli sbandati italiani:" C'è chi, più fortunato, trova qualche buon albanese che lo fa zappare nei campi in cambio di un tetto, di un giaciglio e di un po' di pane." Eugenio Rossi, ufficiale di artiglieria di stanza in Francia meridionale testimonia sui rapporti con la popolazione locale:" 1 civili Francesi ci accolsero come coloro che li avevano pugnalati dalla schiena, ma poi diventammo amici Dopo l'8 settembre del 1943 civili francesi aiutarono me e quanti altri erano sfuggiti alla cattura, e ci fecero andare a Marsiglia."

Questi sentimenti di fratellanza e di collaborazione ci portano a ritenere, al termine del nostro lavoro di ricerca, che la data dell'8 settembre 1943 non solo non fu la data della " morte della patria", bensì quella della rinascita della nazione italiana, ma fu anche l'inizio della presa di coscienza di un progetto nuovo di Europa. Non l'Europa dei tiranni, non l'Europa dei "superuomini arresi'' del Terzo Reich millenario, ma un'Europa di uomini liberi e di libere nazioni affratellate nella ricerca della pace. Dagli orrori della guerra i nemici di ieri compresero che potevano essere gli alleati dell'oggi contro la tirannia e ì fratelli di domani. Oggi, agli albori del Terzo Millennio, quindici nazioni europee hanno abolito tra loro ogni frontiera, hanno un Parlamento, una bandiera, un inno comuni; dal 1989 l'ultimo, odioso muro è caduto; dal prìmo gennaio 2002 circola nella maggior parte dei paesi europei una moneta comune, l'Euro; l'Europa si sta allargando a est, a comprendere ormai quasi tutto il vecchio continente, per bandire le guerre, per superare le barriere, per esaltare la comune civiltà e il comune spirito di amicizia. Questo cammino ancor lungo, ancora difficile, ma esaltante, è stato iniziato dalle migliaia di uomini comuni che, nel rogo immane della guerra, hanno saputo ritrovare i comuni valori di umanità che sembravano perduti.

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